Di ignota provenienza, la fronte di coperchio di sarcofago è posta sopra il retro del sarcofago con le imprese di Eracle (VC) nel nuovo allestimento ottocentesco della Villa all’indomani della vendita della collezione archeologica da parte di Camillo Borghese al cognato Napoleone. In tale occasione furono aggiunti, probabilmente, i volti acroteriali non pertinenti, da identificare quali personificazioni dei Venti. Il fregio, con numerosi dettagli reintegrati, narra le vicende della nascita di Apollo e Artemide e il loro ingresso sull’Olimpo, culminante al centro nella presentazione a Zeus, al cospetto di Atena e Hera. Presumibilmente pertinente a una cassa con la rappresentazione della “strage dei Niobidi”, i quattordici figli di Niobe, figlia del re della Lidia Tantalo, e Anfione, re di Tebe, costituiva una dichiarazione della divinità dei gemelli figli di Latona.
Collezione Borghese (ante 1827, Moreno, Sforzini 1987, p. 355); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C, p. 46, n. 74 (sala II). Acquisto dello Stato, 1902.
Di ignota provenienza, la fronte di coperchio di sarcofago è menzionata per la prima volta nel 1827 nell’elenco compilato dal Ministro Evasio Gozzani con le opere scelte per essere restaurate dallo scultore Antonio D’Este e collocate all’interno delle sale nel nuovo allestimento della Villa all’indomani della vendita della collezione archeologica da parte di Camillo Borghese al cognato Napoleone (B. 8097: Moreno, Sforzini 1987, p. 355). Nella guida alla collezione del Nibby il pezzo è posto sopra il retro del sarcofago con le imprese di Eracle (VC) nella sua attuale collocazione, in sala II (1832, pp. 75-76). Il coperchio era comunque stato visto e parzialmente pubblicato da Winckelmann, che fraintendendo il soggetto, interpretava la porzione destra della scena quale destituzione di Ebe, ancella di Giunone e coppiera degli Dei, sostituita da Ganimede, favorito di Giove (Winckelmann 1821, p. 15, tav. XVI). D’Altro canto lo stesso Nibby interpreta erroneamente la scena come il consesso degli dei per autorizzare le nozze del mortale Peleo e della ninfa Tetide, dalla cui unione nascerà Achille.
Numerosi i dettagli reintegrati: l’intervento più consistente è l’inserimento al centro, per tutta l’altezza della lastra, di una sezione di marmo allungato sulla quale sono stati riprodotti una parte del sedile di Giove e il braccio destro del dio con il fulmine. Da sinistra una poderosa figura maschile nuda seduta su roccia viene interpretata come Poseidone che protegge Latona, incinta di Apollo e Artemide, dal Pitone di Delfi; accanto si trova un uomo nudo con un piede appoggiato a una roccia e che sorregge su di una spalla una piccola figura femminile. Questo gruppo rappresenta probabilmente il gigante Aigaion che trasporta l’isola di Delo – fluttuante in mare – ancorandola al terreno: tale identificazione si ricollega alla storia della contrastata nascita dei due gemelli, raccontata nel III Inno omerico ad Apollo, nell’Inno di Callimaco dedicato all’isola di Delo e in Ovidio, attraverso le arroganti parole di Niobe (Met. VI, vv. 186-191). La figura femminile posta poco più avanti con ampio mantello che si gonfia intorno al corpo come una vela è stata riconosciuta come l’isola di Delo, che accoglie la partoriente fuggitiva nonostante il divieto imposto da Giunone a tutte le città e le regioni della Grecia di dare asilo alla rivale; oppure la dea Temi che viene menzionata come partecipe alla nascita di Apollo nell’Inno omerico dedicato al dio. Segue la presentazione di Apollo e Artemide a Hera/Giunone – con scettro – e a Zeus/Giove, che costituisce l’asse centrale della composizione, cui assiste anche Atena/Minerva. Sulla destra Demetra che si appoggia a una cesta e Kore sono assise in trono; all’estremità chiude la composizione Iride, messaggera dei, che arriva a chiedere aiuto per Latona a Ilizia, la dea del parto, identificabile nel personaggio con chitone e mantello in secondo piano.
Il coperchio era certamente pertinente a una cassa con la rappresentazione della “strage dei Niobidi” i quattordici figli di Niobe, figlia del re della Lidia Tantalo, e Anfione, re di Tebe, cui era strettamente connesso con la scena, narrando le vicende della nascita dei due figli di Latona e del loro ingresso sull’Olimpo, così da costituire una dichiarazione della loro divinità, che era stata screditata da Niobe suscitando l’ira di Latona e la morte dei Niobidi (si vd. per esempio il coperchio di sarcofago a Providence, Rhode Island School of Design; M. Osterstrom Ranger 1969).
Ai lati del coperchio sono due maschere acroteriali, non pertinenti, raffiguranti la personificazione dei Venti e assemblati al coperchio in occasione dell’allestimento ottocentesco, come avvenne per il coperchio con Amazzoni a Troia, esposto con simili acroteri sopra la fronte della cassa con le fatiche di Ercole (LXXX). I volti pieni, con zigomi alti e mento e naso sporgenti, hanno grandi occhi con palpebre marcate e pupilla incisa. Tra i capelli, trattati in corte ciocche mosse e scomposte, sono presenti due piccole ali sopra la fronte. Gli Anemoi, figli del Titano Astreo, dio del crepuscolo, ed Eos, la dea dell'aurora, sono concepiti nell’iconografia romana come entità capaci di varcare la barriera tra la vita e la morte, superando la distinzione tra mortali e immortali (Coppola 2010, p. 119). In funzione di tale virtù i soggetti compaiono nelle raffigurazioni funerarie per la loro valenza di trasportatori delle anime nell’ascesa celeste.
La dettagliata resa plastica delle figure, caratterizzate da una minuziosa cura dei dettagli, suggerisce per il coperchio un inquadramento cronologico in età antonina, periodo al quale si possono far risalire anche i due volti acroteriali.
Jessica Clementi