Eseguite nel 1781 dallo scalpellino Paolo Santi nell’ambito della ristrutturazione settecentesca della Villa Pinciana, le due anfore in pavonazzetto sono poste su colonnine lisce eseguite nello stesso materiale. I due manufatti si caratterizzano per la corrispondenza tra le varie parti: il volumetrico corpo ovoidale, decorato alle estremità da baccellature lievemente rilevate, poggia su una bassa base ed è chiuso in alto da un piccolo coperchio emisferico; la parte superiore delle anse è orizzontale come la spalla del vaso, mentre quella discendente riecheggia la curvatura del basso collo. Un gioco di linee la cui eleganza è arricchita dalle venature violacee del pavonazzetto.
Le due anfore poggiano su base modanata tonda su basso plinto quadrato, hanno il corpo ovoide decorato alle estremità da baccellature poco rilevate e terminano con un breve collo. Le anse, simmetriche, sono squadrate e si dipartono dal bordo dell'imboccatura, scendendo a unirsi, con una lieve curvatura rientrante, alla spalla. Il coperchio è emisferico e ha un piccolo pomolo ogivale. Le linee semplici e la scarsa volumetria delle decorazioni lasciano emergere il materiale quale protagonista dell’opera: le venature violacee del pavonazzetto hanno così modo di distendersi sui due manufatti impreziosendoli con eleganti giochi grafici.
L’esecuzione delle due anfore si colloca nell’ambito dei lavori di radicale cambiamento degli interni della Villa voluti da Marcantonio IV Borghese e affidati al suo architetto di fiducia Antonio Asprucci. I due diedero vita, sullo scorcio del Settecento, a un sodalizio intellettuale cui si deve la creazione di nuovo rapporto con l’antico, che si declinava non solo nell’esposizione di pregiate opere di provenienza archeologica ma anche nella ripresa di stilemi e motivi formali per dare vita a elementi decorativi il cui ruolo nell’insieme delle sale non era assolutamente marginale.
Ad essere pagato per l’esecuzione delle due anfore fu, nel 1781, lo scalpellino Paolo Santi (Faldi 1954, p. 61, docc. I-II), il quale quindi, con tutta probabilità, lavorò su un disegno preparatorio fornito dall’Asprucci. Altri suoi lavori documentati per la Villa Pinciana sono il restauro di un’urna antica e l’esecuzione di una tazza (inv. CLXIV) entrambe in porfido, materiale nella cui lavorazione egli risultava essere particolarmente versato.
Il materiale usato per l’esecuzione delle due anfore e delle colonnine è il pavonazzetto: proveniente da Ischehisar, nell’attuale Turchia, era uno dei marmi colorati più apprezzati e diffusi nella Roma antica (Marchei, 1997, p. 264-265, cat. 109).
Per i due manufatti era stata inizialmente stabilita una collocazione nell’attuale sala I, dove facevano da pendant a due piccole anfore in nero antico (Lamberti, Visconti 1796, I, p. 34), probabilmente le due con anse a protomi aquiline di Silvio Calci (Faldi 1954, p. 61, n. 58).
Sonja Felici