Commissionate a Silvio Calci da Marcantonio Borghese nel 1638, le due anfore furono eseguite su disegno di Alessandro Algardi, che tra il 1635 e il 1636 aveva scolpito per il principe il Sonno (inv. CLX).
Le anfore, intagliate in un marmo belga dal colore nero intenso, si caratterizzano per il contrasto tra la superficie del corpo, levigata ed equilibratamente costruita, e le due anse a forma di serpenti attorcigliati e coperti da squame.
Già le fonti più antiche evidenziavano un legame, materico e simbolico, tra i due vasi e la personificazione del Sonno: oltre ad avere in comune il materiale in cui sono eseguiti, i tre manufatti fanno riferimento a significati connessi all’addormentamento, sottolineato dalla presenza di capsule di papavero da oppio nelle mani e sulla testa del putto dormiente scolpito da Algardi, e alla morte, raffigurata attraverso il morso dei serpenti che rilascia veleno nei due vasi del Calci.
In data 8 aprile 1638 il principe Marcantonio Borghese incarica Silvio Calci di “fare doi vasi di paragone grandi p [almi] cinque in circa conforme al modello, e disegno datogli, con suoi manichi di serpe doppij conforme al detto modello fatto dal Sig. Alessandro Algardi scultore, per il prezzo di scudi 300 moneta” (Faldi 1954, p. 11). I due manufatti furono collocati su sostegni di noce intagliati e dorati, riprodotti nel testo di Montelatici e menzionati ancora nell'inventario del 1765, che furono sostituiti in seguito da rocchi di marmo bigio lumachellato.
Le due anfore, intagliate nel marmo nero del Belgio, e non in pietra di paragone come indicato nei documenti, hanno base circolare modanata, foglie e baccellature convesse in basso, corpo lievemente troncoconico e baccellature convesse sulla spalla; coperchio con foglie e pomolo floreale, anse a forma di coppie di serpenti annodati.
Sinuosi e minacciosi, i serpenti sono raffigurati con le bocche aperte e la pelle squamosa, in contrasto con l’eleganza lineare del corpo delle anfore, e rappresentano una perfetta combinazione tra la sobrietà e l'aura classiche e la bizzarria barocca (Barchiesi 2004, p. 154), elementi tipici dello stile di Algardi.
Ampiamente documentate dalle fonti, le anfore sono situate nella “camera del Sonno”, attuale sala X, nelle descrizioni di Manilli (1650, p. 106), Montelatici (1700, p. 294) e Rossini (1700, p. 205); vengono riportate da Lamberti e Visconti nella sala del Gladiatore (1796, II, p. 56), e nella sala Egizia dal Nibby (1832, p. 119; 1841, p. 923) e dal Platner (1842, p. 255), che le definivano lavori moderni senza indicarne l’autore.
De Montfaucon (1722, tav. CCXIV) le considerava manufatti antichi e, nel commentare l’incisione tratta dal testo di Montelatici – in cui una delle anfore è riprodotta alle spalle del Sonno di Alessandro Algardi –, le interpretava come attributi della personificazione, descrivendole come vasi contenenti sostanze soporifere. Tale identificazione si collega alla presenza nel Sonno di capsule di papavero da cui è estratto l’oppio, usato fin dall’antichità come potente sonnifero, e sembra confermata dal fatto che le anfore sono state a lungo esposte ai lati del Sonno. I tre pezzi potrebbero quindi aver costituito un insieme, come sottolineato anche dall’utilizzo dello stesso materiale, interpretabile come una più ambigua allegoria del sonno, o della morte, cui sembrano alludere i serpenti raffigurati attorcigliati nelle anse che mordono il collo del vaso riversandovi il proprio veleno (Mampieri 2018, p. 29).
Sonja Felici