Il Cristo alla colonna è attestato con certezza nella raccolta Borghese a partire dall’inventario del 1693, in cui compare descritto con il riferimento al numero 202, tuttora leggibile sul retro della tavola. Variamente ricondotto a Mantegna e alla scuola peruginesca nei successivi elenchi della collezione, il dipinto è stato attribuito da Longhi a Lorenzo Costa, nome accolto da tutta la critica posteriore. Si è ipotizzato che la tavola facesse originariamente parte della raccolta di Lucrezia d’Este e che, tramite successivi passaggi di proprietà agli Aldobrandini, sia pervenuto nella collezione Borghese.
Salvator Rosa cm. 62,1 x 46,8 x 5
Roma, collezione Borghese; Inventario 1693, Stanza dell’Udienza, n. 242; Inventario 1790, Stanza X, n. 9; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 17, n. 36. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto è presente nella raccolta Borghese almeno dal 1693, quando compare citato nell’inventario dei beni come “un quadro alto due palmi e mezzo incirca con il ritratto di Nro. Sig.re nudo ligato a mano dietro del n. 202 con cornice dorata del Mantelli [Mantegna?]”. Le dimensioni, nonché il numero riportato nella descrizione, tuttora leggibile sul retro in basso a sinistra della tavola, non lasciano dubbi sulla sua identificazione nell’ambito di tale elenco. Il quadro è ricordato successivamente nell’inventario del 1790, ancora con l’attribuzione ad Andrea Mantegna, e in quello fidecommissario del 1833, ricondotto alla scuola peruginesca. Tale riferimento viene ripreso da Piancastelli (1891, p. 290) e Venturi (1893, p. 190), mentre Berenson (1897, p. 466) se ne discosta proponendo un’assegnazione ad Andrea Solario che tuttavia, come suggerito da Della Pergola (1955, pp. 27-28, n.30), potrebbe essere stata indotta dalla confusione con un altro dipinto della raccolta. Il primo a riportare la tavola sotto il nome di Lorenzo Costa, tuttora confermato, è Roberto Longhi (1928, p. 215), seguito dalla critica successiva (Della Pergola, cit.; Varese 1967, p. 75, n. 76; Stefani 2000, p. 290; Negro, Roio 2001, p. 212, n. 37; Herrmann Fiore 2002, pp. 122-123, n. 3; ead. 2006, p. 130; Di Natale 2023, p. 381).
Nel catalogo dei dipinti Borghese, Della Pergola (cit.) ipotizza che il Cristo alla colonna Borghese possa corrispondere ad uno dei piccoli quadri di tale soggetto registrati nell’inventario di Lucrezia d’Este, databile al 1592, parte di un nucleo passato successivamente nelle mani del cardinale Pietro Aldobrandini, della sua erede Olimpia e, per discendenza, ai Borghese. A tal proposito, si noti che “un quadro con un mezzo Christo alla colonna, in tavola piccola”, non attribuito, è presente nell’inventario Aldobrandini del 1626 (Di Natale cit.). L’ipotesi di Della Pergola è tuttavia da mettere in dubbio sulla base della presenza dell’opera nell’inventario Borghese del 1693 in cui, salvo pochissime eccezioni, non si dovrebbero ancora ravvisare quadri già Aldobrandini, che in larga misura passano ai Borghese solo nel secolo successivo.
La scelta di raffigurare Cristo su uno sfondo scuro, essenzialmente svincolato dal racconto della Passione, avvicinandolo alla rappresentazione di un Ecce Homo, rimanda ad Antonello da Messina e al mondo figurativo veneziano, che Costa dimostra di conoscere già al momento della pala Rossi, datata 1492 (Herrmann Fiore 2002, p. 122; Di Natale cit.).
Riguardo alla cronologia dell’opera, una realizzazione anteriore alla Pala Rossi (1492) proposta da Della Pergola (cit.) è oggi ritenuta generalmente troppo precoce, mentre appare più verosimile collocare l’opera all’inizio del Cinquecento, soprattutto in ragione delle affinità del dipinto con la pala dedicata a San Petronio già nella chiesa della Santissima Annunziata di Bologna (oggi nella pinacoteca) datata 1502; la figura di Cristo appare infatti vicina, per la volumetria esile e piuttosto assottigliata, ai santi Francesco e Domenico rappresentati ai lati del trono su cui siede San Petronio (Negro Roio 2001, p. 212, n. 37; Di Natale cit.).
Pier Ludovico Puddu