Il cattivo stato di conservazione pregiudica purtroppo la lettura del dipinto, tradizionalmente attribuito ad Alessandro Turchi detto l'Orbetto, pittore veronese attivo per Scipione Borghese fra il 1616 e il 1619 insieme a Marcantonio Bassetti.
L'opera rappresenta il corpo esanime di Cristo vegliato da due angeli che con una torcia illuminano l'ambiente circostante. L'oscurità, da cui emerge la figura plastica e monumentale del Messia, è resa dall'artista adoperando sapientemente la lavagna che restituisce un affascinante effetto di notturno.
(?) Roma, collezione Scipione Borghese, 1617-1619 (Della Pergola 1955); Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza XI, n. 41); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 27. Acquisto dello Stato, 1902.
Secondo Paola della Pergola (1955), questo dipinto - tradizionalmente attribuito ad Alessandro Turchi detto l'Orbetto - entrò in collezione Borghese intorno al 1617-1619, contemporaneamente agli altri due quadri su pietra di paragone tuttora conservati nel Museo Borghese: la Resurrezione di Lazzaro (inv. 506) e il Compianto di Cristo con la Maddalena e i quattro angeli (inv. 499). Il pittore, infatti, fu molto apprezzato dal cardinale Scipione Borghese che gli commissionò una serie di lavori, tra cui gli affreschi del casino del Barco, la Raccolta della manna nella sala Regia del Quirinale, un quadro perduto con San Pietro e l'Ancilla Ostiaria e un dipinto destinato alla cappella della sua villa di Mondragone.
Con buona probabilità fu in questi anni che l'Orbetto dovette eseguire questa raffinata opera di piccolo formato, attestata con certezza in collezione Borghese a partire dal 1693 e attribuita erroneamente dall'estensore dell'inventario del 1790 ai Carracci. La conservazione assai scadente, lamentata già da Adolfo Venturi nel 1893, non permise a Roberto Longhi (1928) di avanzare alcun giudizio sull'opera, al contrario di Paola della Pergola che ritenendola una variante del Compianto di Cristo con la Maddalena e i quattro angeli (inv. 499) assegnò senza riserva il dipinto al catalogo del veronese.
L'opera rappresenta il corpo esanime di Cristo vegliato da due angeli che con una torcia illuminano l'ambiente circostante. L'oscurità, da cui emerge la figura plastica e monumentale del Messia - che richiama alla mente la Pietà (Napoli, Museo di Capodimonte) dipinta da Annibale Carracci per il cardinale Odoardo Farnese a Roma - è resa dall'artista adoperando sapientemente la lavagna come supporto, su cui i colori creano un delicato gioco di luci e di ombre. Turchi, infatti, fu molto apprezzato nell'Urbe per queste sue raffinate composizioni su pietra di paragone, un materiale ampiamente usato a Verona a partire dall'ultimo quarto del Cinquecento, che l'artista ebbe modo di conoscere nella bottega del suo maestro Felice Brusasorzi, la cui maniera fu coniugata dall'artista con le più aggiornate sperimentazioni di Carlo Saraceni, Gerrit van Honthorst e dei pittori francesi attivi a Roma in quegli anni.
Antonio Iommelli