Questo dipinto, tradizionalmente attribuito a Sebastiano del Piombo, discende da una nota composizione del pittore veneziano eseguita intorno al 1540 e attualmente conservata a Budapest. Il soggetto, tra le invenzioni più riuscite del Maestro, si rifà all'esortazione di Cristo riportata nel Vangelo di Matteo (16, 24: "Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua"), trovando largo consenso in un periodo di forti tensioni spirituali come dimostra la presenza di numerose repliche, copie e varianti.
L'opera raffigura Gesù mentre porta la croce, qui accompagnato da sua madre Maria, personaggio assente in tutte le altre redazioni ad oggi note che fa dunque della tela romana un unicum.
Cornice Salvator Rosa (cm 186,5 x 132 x 9)
(?) Ferrara, collezione Lucrezia d'Este, 1592 (Inventario 1592, p. 11; Della Pergola 1959); (?) Roma, collezione Borghese, 1650 (Manilli 1650; Della Pergola 1959); Inventario 1693, Stanza I, n. 38; Inventario 1790, Stanza IX, n. 26; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 17. Acquisto dello Stato, 1902
Secondo Paola della Pergola (Ead.1959) questo dipinto, eseguito forse per il conte di Sifuentes - ipotesi però smentita da Mauro Lucco (1980) - proverrebbe dall'eredità di Lucrezia d'Este, confluito entro il 1650 nella raccolta pinciana attraverso il matrimonio tra Olimpia Aldobrandini junior e Paolo Borghese. Se però nell'inventario del 1592 della nobildonna ferrarese è possibile rintracciare "Uno di N[ostr]o S[ignor]e coronato di spine con la croce in spalla di mano del Piombino", di contro tale quadro è difficilmente identificabile negli inventari di casa Aldobrandini dove la sommarietà delle descrizioni non permette di individuarlo con certezza tra i vari Cristo portacroce ivi elencati. Se in aggiunta si eccettua poi la segnalazione generica di un "Cristo che porta la croce [...] di Frà Bastiano del Piombo" visto da Iacomo Manilli sulla porta della sala di Apollo e Dafne (Manilli 1650), la prima e sicura informazione sulla tela risale al 1693 quando l'estensore del relativo inventario borghesiano elenca "un quadro tela d'Imperatore con Christo che porta la Croce in spalla con un'altra figura con cornice dorata del n[umero] 348 di fra' Sebastiano del Piombo" (Inv. 1693), cifra tuttora visibile sul dipinto in basso a sinistra.
Pareri discordanti persistono anche sulla sua autografia. Segnalato in antico come opera di Sebastiano (Inv. 1592; Manilli 1650; Inv. 1693), tale nome ha infatti sollevato diversi problemi, dividendo da sempre la critica tra chi rifiuta di riconoscere la paternità del dipinto al pittore veneziano, parlando ad esempio di Gerolamo Muziano (A. Venturi 1893) o di Giovanni De' Vecchi (Contini 2008; Coliva 2008); e chi lo ritiene un sicuro autografo del Maestro (Longhi 1928; Della Pergola 1959; Herrmann Fiore 2000; Eid 2005(a); 2005(b); 2006) o da questi eseguito con l'aiuto di un anonimo pittore, il cui intervento si scorgerebbe nella testa della Vergine (Zeri 1957). Non è poi mancato chi addirittura lo ha trovato fin troppo brutto da poterlo avvicinare a uno degli artisti sopracitati (Cantalamessa 1912) e chi, come l'estensore dell'inventario del 1790, lo ha incredibilmente innalzato al nome del sommo Michelangelo. Di certo il quadro, espunto da Michael Hirst (1981) nella sua monografia sul veneziano, discende da uno dei tre prototipi individuati come tali dalla critica (Madrid, Museo del Prado, P345; San Pietroburgo, Ermitage, inv. 77; Budapest, Szépmüvészeti Múzeum, inv. 77.1), in particolare dal Cristo portacroce di Budapest, quest'ultimo eseguito su ardesia intorno al 1540 (cfr. Lucco 1996; Contini 2008; Benati 2018). Nella tela Borghese, infatti, Gesù è rappresentato con un'andatura molto vicina a quella della versione ungherese mentre alle sue spalle, in aggiunta a un fondo di paese simile a quello raffigurato nella tavola madrilena, compare la Vergine Addolorata, personaggio assente in tutte le repliche, varianti e copie ad oggi note (cfr. Della Pergola 1959), ritratta unicamente nella tela romana al posto di Simone il Cireneo o dei perfidi aguzzini. Secondo Kristina Herrmann Fiore, che ritiene il dipinto un prodotto tardo del veneziano (Herrmann Fiore 2000; Eid. 2005a), il pittore avrebbe attribuito a Maria le sembianze di Vittoria Colonna (Eid. 2000; 2005b), la nota marchesa di Pescara, corrispondente e amica di Michelangelo e dello stesso Sebastiano, le cui Rime furono pubblicate nel 1540 a Venezia, in un momento vicino alla realizzazione della tela romana che non a caso si rifarebbe per l'immagine della Addolorata a una xilografia stampata a corredo del volume.
Antonio Iommelli