Questo 'Cristo portacroce', copia da Sebastiano del Piombo, pervenne nella raccolta Borghese nel corso del XVII secolo, proveniente con tutta probabilità dall'eredità di Olimpia Aldobrandini senior. La tavola, di discreta qualità, è copia parziale della fortunata composizione del noto pittore veneziano, di cui esistono numerose versioni. In questo esemplare, dal fondo scuro, isolata emerge la figura di Cristo, ritratta mentre trascina la croce sul Golgota: il taglio ravvicinato, unito all'uso di una tavolozza scura, sembra infondere maggior pathos alla scena, rendendola di fatto più efficace dal punto di vista devozionale.
Salvator Rosa cm 90,4 x 67,5 x 6
Roma, collezione Olimpia Aldobrandini senior, 1626 (Inventario 1626, n. 83, n. 5; Della Pergola 1959); Inventario 1682; Roma, collezione Borghese, 1790 (Inventario 1790, Stanza IX, n. 26 (De Rinaldis 1937); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 17. Acquisto dello Stato, 1902.
Questa tavola proviene dalla ricca eredità di Olimpia Aldobrandini senior, elencata tra i beni della nobildonna sia nell'inventario del 1626 ("un Quadro con Christo che porta la Croce di Giulio Romano del n. 4), sia in quello del 1682 ("un quadro in tavola con Christo che porta la Croce di Giulio Romano alto palmi tre con cornice dorata e lavorata ..."; Della Pergola 1955). Assente nel 1693 tra i beni elencati nel palazzo di Campo Marzio, il dipinto riappare nel 1790, attribuito in tale occasione alla 'Scuola di Michelangelo', giudizio ripreso nel Fidecommisso ottocentesco (Inv. Fid. 1833) e così ripetuto nelle schede manoscritte di Giovanni Piancastelli (Id. 1891). Adolfo Venturi, nel Catalogo del 1893, assegnò l'opera a Bernardino Licinio il Pordenone, nome scartato sia da Giulio Cantalamessa (1912), secondo cui questo Cristo apparteneva a un anonimo e 'debole pittore', sia da Roberto Longhi, che dal canto suo parlò di Marco Pino (Longhi 1928).
Nel 1959 Paola della Pergola, partendo dal parere di Cantalamessa, pubblicò debitamente la tavola come opera parziale da Sebastiano del Piombo, eseguita a detta della studiosa da un ignoto pittore non oltre la prima metà del Cinquecento, nome in seguito precisato da Kristina Herrmann Fiore con quello di Prospero Fontana (Herrmann Fiore 2006). Di certo, la fortuna di questo soggetto, reso ancor più popolare dalle diverse redazioni eseguite dallo stesso Luciani intorno agli anni Quaranta del Cinquecento (Madrid, Museo del Prado; San Pietroburgo, Ermitage; Budapest, Szépmüvészeti Múzeum; Volpe-Lucco 1980), spinse molti artisti a realizzarne diverse repliche, apprezzate e largamente ricercate soprattutto a partire dalla seconda metà del XVI secolo quando la Chiesa, in seguito al Concilio di Trento, invitò i pittori a produrre immagini fedeli al dettato evangelico, efficaci - come questo Cristo - di indurre sentimenti di pietà e devozione nei fedeli.
Antonio Iommelli