Il dipinto, firmato e datato “Lod. Cigoli F. 1610”, venne eseguito per Antonio Ricci, vescovo di Arezzo dal 1611. Nel giro di breve tempo l’opera passò nelle mani del cardinale Scipione Borghese, probabilmente come dono dello stesso Ricci. Il tema, tratto dall’Antico Testamento, è interpretato dall’artista in chiave laica, quasi una scena d’alcova dove la moglie di Putifarre appare con le sembianze di una perfetta cortigiana. L’enfasi nella gestualità dei personaggi e lo sfarzo dei costumi e dell’ambientazione conferiscono alla scena un tono fortemente teatrale.
Il dipinto fu eseguito per monsignor Antonio Ricci, vescovo di Arezzo dal 1611, ed è firmato e datato “Lod. Cigoli F. 1610”. L’iscrizione dovette nel tempo diventare illeggibile, facendo perdere l’attribuzione al Cigoli, come suggerito dall’inventario fidecommissario del 1833 dove l’opera viene descritta genericamente come di scuola fiorentina e più tardi ricondotta a Giovanni Lanfranco (Barbier de Montault 1870, p. 354, n. 217). Solo alla fine del secolo Giovanni Piancastelli (1891, p. 281) la restituisce all’artista toscano.
Il quadro è presente nella collezione del cardinale Borghese almeno dal 1613, come attestato dal poema che Scipione Francucci ([1613] 1647, St. 164-168) dedicò alla raccolta in quello stesso anno. Il precoce passaggio del dipinto nelle mani di Scipione Borghese ha fatto ipotizzare che quest’ultimo l’avesse ricevuto in dono da monsignor Ricci, forse in vista dell’importante nomina a vescovo. Secondo Anna Matteoli (1980, pp. 124-125) il prelato commissionò il dipinto con il preciso scopo di donarlo a Borghese, e richiese all’artista un soggetto da mettere a pendant con l’opera di Giovanni Baglione rappresentante Giuditta e Oloferne, già in possesso del cardinale. I due dipinti, infatti, presentano non solo le medesime dimensioni ma anche una corrispondenza compositiva nelle figure rispettivamente di Giuseppe, proteso verso la sinistra della scena, e Giuditta, il cui andamento tende invece nella direzione opposta; questi elementi sostengono l’ipotesi che Cigoli avesse concepito la sua opera in dialogo con quella di Baglione, conoscendone dunque la destinazione finale. Nel 1650 Manilli (p. 60) li descrive nella stessa sala della Villa Pinciana, e così anche Montelatici (1700, pp. 205-206) all’inizio del Settecento.
L’opera rappresenta Giuseppe in atto di sottrarsi al tentativo di seduzione da parte della moglie di Putifarre, il generale egiziano al cui servizio si trovava il giovane protagonista della scena. Secondo il racconto biblico la donna, invaghitasi di Giuseppe, tentò invano di conquistarlo fino a quando, scontenta dei continui rifiuti, gli rivolse una falsa accusa di violenza.
La scena è pervasa da un sentimento barocco che riconduce il tema biblico entro una sfera profana, in cui la protagonista femminile è resa con le sembianze di una cortigiana, con un vestito dall’ampia scollatura e la gamba sinistra lasciata scoperta dalla calza che scende. L’artista dedica una grande attenzione alla resa dei costumi e degli arredi, come denota sia la scelta dei preziosi tessuti, riccamente decorati, sia la cura nei dettagli quali i calzari dei personaggi, di cui uno femminile compare rovesciato sul pavimento in primo piano. L’abbondanza e lo sfarzo delle stoffe caratterizzano una scena dal sapore teatrale, in cui le figure si muovono con una gestualità fortemente eloquente. In basso a sinistra compare il cane, tradizionalmente simbolo di fedeltà, in questo caso raffigurato con la bocca ringhiante proprio ad alludere al tentativo della donna di infrangere il voto coniugale (Chappell 1986, p. 116; Faranda 1986, pp. 167-168; Stefani 2000, p. 194; Baldassari 2016, p. 92).
Il dipinto è un esempio della tarda attività dell’artista e, da un punto di vista stilistico, ripropone gli aspetti tipici della sua produzione romana tra il 1609 e il 1613, come il grande dinamismo compositivo e le espressioni attentamente studiate (Chappell, cit.; Baldassari, cit.). In particolare, l’opera è stata messa in relazione con la lunetta rappresentante Psiche trattiene Cupido, parte del ciclo di affreschi che Scipione Borghese commissionò a Cigoli nel 1611 per la loggia, oggi non più esistente, del suo palazzo sul colle del Quirinale, in seguito di proprietà Pallavicini Rospigliosi (gli affreschi, staccati, sono conservati al Museo di Roma).
Giuseppe e la moglie di Putifarre ispirò diversi artisti toscani del tempo che ripresero il soggetto con il medesimo gusto teatrale: tra le versioni di maggior influenza cigolesca si pensi a quella di Ottavio Vannini (Firenze, Gallerie degli Uffizi, depositi) o di Giovanni Bilivert (Firenze, Palazzo Pitti), allievo del Cardi e al suo seguito a Roma tra il 1604 e il 1607.
Al dipinto sono collegabili alcuni disegni preparatori, per cui si veda quanto riportato da Matteoli nel suo studio sull’artista del 1980.
Pier Ludovico Puddu