Leda è rappresentata stante, coperta da una delicata tunica e un mantello alzato dal braccio sinistro. La figura è ritratta nell’atto di proteggere, così come descrive il mito, un cigno dall’attacco di un’aquila. Zeus, attratto dalla fanciulla, ha assunto infatti le sembianze dell’animale per sedurla. Dall’unione sono generati Polluce ed Elena.
La scultura proviene, probabilmente, dagli scavi Borghese svolti nel 1820-1821 nell’area tra Frascati e Monte Porzio Catone. Il Nibby la menziona, per la prima volta nella Villa Borghese, nella sala VI.
La scultura è probabilmente una replica di tarda età adrianea di un originale di IV secolo a.C. attribuito allo scultore Timotheos. Nel Portico della Galleria Borghese è esposta una seconda scultura analoga di cui si conserva solo la parte inferiore (inv. IV).
Collezione Borghese, probabilmente proveniente dagli scavi del 1821 nell’area tra Frascati e Monte Porzio Catone, nella vigna Lucidi o nella località Cocciano (Nibby 1841, p. 922, n. 10; Canina 1841, pp. 146-147, tav. XXXVa; Valenti 2003, pp. 187-192); citata per la prima volta nella villa da Nibby, nella sala VI (Nibby 1832, p. 112, n. 5, tav. 34); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 51, n. 142. Acquisto dello Stato, 1902.
Opera in prestito per la mostra "L'istante e l'eternità. Tra noi e gli antichi Museo Nazionale Romano", Terme di Diocleziano (4 maggio - 30 luglio 2023, esclusi tempi di riconsegna e riallestimento opera)
“Leda, ingannata dal cigno, mi dà come padre Giove;
ingenua, ha stretto a sé nel grembo un falso cigno”
(Heroides XVII vv. 57-58)
Il Diario di Roma del 1821 riporta che in quello stesso anno furono rinvenute nello scavo commissionato dal Principe Camillo Borghese nella vigna Lucidi, in contrada S. Croce a Frascati, numerose sculture, tra cui “una statua in marmo di palmi 6 rappresentante Leda, che si alza da sedere, e leva la mano sinistra, involta nell’abito, per nascondere, e riparare dagli artigli dell’aquila il cigno, che le si nasconde in grembo” (Diario di Roma 1821, pp. 4-6). Lo scavo fu personalmente diretto, nella fase finale, da Luigi Canina che ricorda nel 1828 “una Leda trovata negli scavi operati nelle falde Tuscolane unitamente ad altre pregiate statue” e nel 1841 una figura di Leda con cigno “rinvenuta negli scavi eseguiti nella vigna Lucidi situata nella falda del colle Tuscolano tra la città di Frascati e la terra di Monte Porzio” (Canina 1828, p. 5; Canina 1841, pp. 146-147, tav. XXXVa).
Il Nibby, più genericamente, colloca il rinvenimento in una vigna “posta tra Frascati e Monte Porzio” e fa risalire, erroneamente, la scoperta al 1823 (Nibby 1841, p. 922, n. 10). Massimiliano Valenti, che nel 2003 esamina le sculture provenienti dalla vigna Lucidi, ritiene più verisimile che la Leda in esame provenga invece dall’area della villa attribuita a Tiberio ubicata in contrada Cocciano, poco distante dalla vigna Lucidi (Valenti 2003, pp. 187-192). Il Nibby menziona, per primo, la sistemazione della scultura nella attuale sala VI della Villa Borghese (Nibby 1832, p. 112, n. 5, tav. 34).
La statua raffigura la giovane Leda nell’atto di accogliere in grembo Zeus, nelle sembianze di un cigno. La figura, sostenuta da una roccia, è coperta solo parzialmente da una leggerissima tunica, il chitone, annodata sulla spalla sinistra, che le scivola via sensualmente lasciandola pressoché nuda. Con la mano sinistra, in un gesto di protezione, trattiene sollevato in alto il lembo dell’himation, il mantello, per impedire all’aquila di afferrare il cigno. L’animale, poggiato sul suo ginocchio destro e trattenuto con la mano destra dalla fanciulla, è proteso con il lungo collo nella ricerca del suo sguardo. Il volto della giovane è invece orientato verso l’alto, a sinistra. Tale accorgimento sembra conferire alla scena un pathos piuttosto calmo, una sorta di ineluttabilità all’unione che si sta per compiere. Secondo la tradizione Zeus, innamoratosi di Leda, si tramutò in cigno per sedurla sulle rive del fiume Eurota. La donna, che ingenuamente lo proteggeva dall’attacco di un’aquila, nascondendolo sotto il suo mantello, depose dopo l’unione un uovo da cui nacquero Polluce ed Elena.
La raffigurazione si considera una rielaborazione di un originale attribuito allo scultore Timotheos, del IV secolo a.C., diffuso in molte repliche note. Nella Galleria Borghese è presente una seconda scultura, della quale rimane solo un frammento della parte inferiore, del medesimo modello iconografico, esposta nel Portico (inv. IV). Una replica analoga, datata all’età adrianea, si conserva ai Musei Capitolini (inv. n. 302; Dalli Regoli, Nanni, Natali 2001, p. 90) e una seconda, proveniente dalla Villa Magnani sul Palatino, presso il J. Paul Getty Museum (Angelicoussis 2017, II, pp. 84-91, no. 9, figs. 9.1-9.9).
Il Venturi, nel 1893, la definisce “copia di un’originale di epoca ellenistica” (Venturi 1893, p. 42). La Rieche, che studia la scultura Borghese nel 1978, ne riconosce una copia di epoca adrianea, e individua una diversa fattura per la testa, particolarmente accurata e rifinita, e per il corpo e il panneggio, dalla resa più sommaria (Rieche 1978, p. 29, n. 24, tav. 27).
Giulia Ciccarello