Il soggetto di questo dipinto è tratto dalla mitologia greca e rappresenta Paride, giovane principe troiano, qui raffigurato in compagnia di tre dee - Era, riconoscibile grazie al pavone, suo tipico attributo iconografico; Atene, ritratta con l’elmo; e Afrodite, la dea della bellezza e dell'amore ai cui piedi giacciono due colombe - fra le quali l'eroe dovette scegliere la più bella, cui consegnare la mela d’oro raccolta nel giardino delle Esperidi. L'opera, infatti, riproduce il momento in cui il giovane pastore, ammaliato dalle promesse di Venere, le sta consegnando l’ambito premio, ottenendo da questa in cambio l’amore della donna più bella del mondo.
Roma, collezione Borghese, 1633 ca. (Inventario ante 1633, pag. 19, n. 205, Corradini 1998); Inventario 1790, Stanza VI, n. 28; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 24. Acquisto dello Stato, 1902.
Questo dipinto è segnalato per la prima volta in collezione Borghese in un inventario databile intorno al 1633 (Corradini 1998; Pierguidi 2014) in cui è descritto come "un quadro del Giuditio di Paris cornice negra, alto 5 largo 3 2/3. Francesco Crescentio". L'assegnazione del quadro a Francesco Crescenzi ha messo un punto - forse definitivo - alla questione sulla paternità della tavola (Herrmann Fiore 2006), attribuita di volta in volta al Domenichino (Inv. 1790); al Cavalier d'Arpino (Piancastelli 1891; A. Venturi 1893; Quadrini 1940); a un pittore manierista, attivo intorno ai primi anni del Seicento, assai prossimo a Paolo Guidotti (Longhi 1928); e a Bartholomaeus Spranger (Della Pergola 1959). Secondo l'estensore dell'inventario, infatti, l'opera fu realizzata da Francesco Crescenzi, un aristocratico romano educato come i suoi fratelli alla pittura da Cristoforo Roncalli (cfr. Spezzaferro 1984), che secondo Marco Pupillo (2009) eseguì questa tavola nei primi anni della sua carriera, donandola personalmente a Scipione Borghese negli anni in cui i due frequentavano lo studium perugino.
L'opera rappresenta il Giudizio di Paride, debitamente descritto nel 1700 da Domenico Montelatici: "Quello che segue, dopo la finestra, di buona e diligente maniera, benchè ignota, rappresenta il Giudizio di Paride, espresso sopra tavola di legno, in cui vedesi l'istesso Paride a sedere in habito da pastore, con un cane appresso, e con tre Dee, Giunone, Pallade e Venere in piedi avanti a lui, la prima delle quali, col pavone accanto, sollevasi un panno sopra la testa per coprirsi, la seconda, con elmo in capo, volgendosi al giovane in atto supplice, instantemente lo prega a concederle il pomo d'oro della bellezza, mentr'egli lo consegna alla terza, che è Venere con due colombe ai piedi, giudicandola più degna dell'altre, la quale lo riceve, con Cupido innanzi, che bramoso ancor lui d'haverlo alza in aria le braccia con farne richiesta".
Una versione di quest'opera, eseguita su tela, fu segnalata da Paola della Pergola nel 1959 presso una collezione privata romana, esemplare ritenuto dalla studiosa di fattura assai più fine che però non costituirebbe il prototipo della tavola Borghese, giudicata "un antecedente di diverso e notevole interesse".
Antonio Iommelli