Il dipinto è attestato in collezione Borghese a partire dal 1650, segnalato da Iacomo Manilli come opera di Giovan Battista Benci, artista poco noto, la cui presenza nella raccolta cardinalizia testimonia l'interesse del colto prelato per la pittura contemporanea e per gli artisti emergenti.
L'opera rappresenta la celebre parabola del 'Figliol prodigo' narrata nella Bibbia dall'evangelista Luca: un uomo ha due figli e nonostante le cure e le attenzioni verso di loro, il più giovane decide di abbandonare casa, pretendendo la propria parte di eredità. Tornato dopo avverse vicende, il ragazzo viene accolto benevolmente dal padre che farà preparare per lui un ricco banchetto. La tela raffigura, infatti, il momento in cui in ginocchio il giovane viene accolto dal vecchio padreche ha ordinato al servo sulla destra di vestire con abiti nuovi e profumati il figlio ritrovato.
Roma, collezione Borghese, 1650 (Manilli 1650); Inventario 1790, Stanza V, n. 20; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 36. Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questo dipinto è tuttora ignota. L'opera infatti è ricordata nella raccolta Borghese a partire dal 1650, anno in cui Iacomo Manilli la descrive presso la Stanza del Gladiatore con l'esatta indicazione del soggetto e del nome. Citata nel 1790 con il nome di Valentin de Boulogne, la tela giunse con tale nome fino al catalogo di Adolfo Venturi (1893), restituita al Benci da Lionello Venturi che nel 1909 ricollegò il quadro alla citazione di Manilli.
Nel 1928 Roberto Longhi confermò il parere di Lionello, segnalando una versione del dipinto presso la chiesa romana di San Pietro in Vincoli, nella quale però mancava la figura della vecchia sulla sinistra; parere accolto positivamente sia da Paola della Pergola, che nel 1959 pubblicò il quadro con l'esatto riferimento al pittore appartenente alla seconda generazione dei caravaggeschi; sia dalla critica successiva (Guarini 1992; Herrmann Fiore 2006; Pomponi 2011).
Le informazioni sul Benci sono ancora scarse. Secondo Vitaliano Tiberia (2005), il pittore di origini aquilane giunse a Roma intorno al primo lustro del Seicento, dove nel 1606 sposò la romana Olimpia Passerotti, con buona probabilità figlia dell'artista bolognese Passarotto Passerotti (cfr. Pomponi 2011). Tale notizia è stata resa nota da Massimo Pomponi che cercando informazioni sul pittore nei registri parrocchiali romani ha trovato traccia della presenza di un certo Giovanni Battista Benci, originario di Siena; e di un altro artista omonimo, romano, abitante in casa del pittore Pier Francesco Alberti da Borgo San Sepolcro, figlio del più noto Durante.
La presenza di un pittore seicentesco di nome Giovanni Battista Benci era stata ad ogni modo già segnalata da Antonino Bertolotti (1881), il quale lo ricorda - definendolo romano - in merito ad una denuncia fatta nel 1625 ai danni dell'incisore milanese Enrico Moro; documento ripreso dalla critica che ha ipotizzato l'esecuzione della tela Borghese nello stesso anno riportato sulla querela, commissionata probabilmente dallo stesso cardinale Scipione Borghese (cfr. Pomponi 2011).
L'opera traduce in pittura il racconto biblico del cd. 'Figliol prodigo', un giovane ragazzo accolto dal vecchio genitore dopo aver abbandonato il tetto paterno e sperperato la propria parte di eredità. La scena qui rappresentata ritrae l'istante in cui in ginocchio il figlio sprovveduto riceve il perdono del padre che lo farà vestire da un suo servo con abiti nuovi e profumati. La composizione, costruita abilmente dal pittore, fonde assieme la matrice classicista bolognese con quella caravaggesca tipica del terzo decennio del Seicento e qui ravvisabile nel fondo scuro da cui emergono le figure in primo piano, nell'uso della luce proveniente da una fonte esterna e nella ripresa pienamente caravaggesca della mano sinistra del padre, pronta ad accogliere il figlio ritrovato (cfr. Pomponi 2011). La composizione inoltre è resa energica e dinamica sia dall'uso contrastato dei colori dei panni e degli incarnati dei personaggi, sia dalla disposizione delle figure lungo linee diagonali.
Antonio Iommelli