Il dipinto, su tavola, potrebbe essere collegato ad un acquisto di opere avvenuto nel 1609 presso Giovan Paolo della Porta, di cui resta traccia nei documenti Borghese. A lungo ritenuta opera di Mariotto Albertinelli, la tavola è stata ricondotta alla mano di Fra’ Bartolomeo (Bartolomeo della Porta) da Everett Fahy sulla scorta delle affinità stilistiche con l’Annunciazione dipinta dall’artista per la cattedrale di Volterra (1497), e ritenuta vicina a quest’ultima anche per cronologia. L’impianto iconografico del Cristo, rappresentato a mezzo busto in atto benedicente, risente dell’influenza di modelli nordici tardo quattrocenteschi.
Salvator Rosa cm. 74 x 62 x 6,5
Collezione Borghese, probabilmente dall'acquisto del 1609 da G.B.della Porta; Inventario, 1790, Stanza II, n. 30; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 18. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto è stato messo in relazione con “Il Salvatore, mezza figura, è stimata del Rosso Fiorentino” che compare nella guida seicentesca della Villa Pinciana redatta da Jacopo Manilli (1650, p. 97), da cui si è ritenuto di poterlo collegare all’acquisto di opere concluso nel 1609 dai Borghese presso Giovan Paolo della Porta (fratello ed erede dello scultore ed antiquario Tommaso), tra cui figura un quadro del “Rosso di Fiorenza” senza descrizione del soggetto (Della Pergola 1959, pp. 9, 216).
L’opera è stata individuata nell’inventario del 1790 alla voce “Il Salvatore, Pietro Perugino” e in quello fidecommissario del 1833, dove compare con il riferimento al medesimo artista, ripreso successivamente dal Piancastelli (1891, p. 288).
Venturi (1893, p. 200) è il primo a ricondurre il quadro entro la cerchia di Fra’ Bartolomeo (Bartolomeo della Porta) ascrivendolo a Mariotto Albertinelli, a fianco dell’artista durante la giovanile formazione presso Cosimo Rosselli e con cui successivamente condivise la bottega. Tale attribuzione è accolta da diversi studiosi e rimane dominante fino alla seconda metà del Novecento (Longhi 1928, p. 218; Bodmer 1929, p. 612; De Rinaldis 1939, p. 33; Della Pergola cit.).
L’attribuzione a Fra’ Bartolomeo viene avanzata per la prima volta da Fahy (1969, pp. 146-147), che riconosce nel Cristo benedicente la stessa mano dell’Annunciazione dipinta dall’artista per la Cattedrale di Volterra, datata 1497. Secondo lo studioso, l’affinità stilistica tra le due opere induce non solo a ritenerle dello stesso autore, ma anche a propendere per una loro esecuzione ravvicinata nel tempo, come suggerito anche dalla corrispondenza di alcuni dettagli quali la resa dei capelli rispettivamente di Cristo e della Vergine e il bordo decorato delle loro vesti.
In tempi più recenti il dipinto Borghese viene esposto alla mostra fiorentina di Palazzo Pitti curata da Serena Padovani sotto il nome di Fra’ Bartolomeo (Padovani 1996, p. 73), attribuzione accolta anche sulla scorta dell’analisi svolta dopo il restauro del 1994 (si veda anche Stefani 2000, p. 289).
Il Cristo è rappresentato a mezzo busto, con la testa leggermente orientata verso destra, mentre con una mano compie il gesto della benedizione e con l’altra tiene i chiodi della Crocifissione.
Già Fahy (cit.) individuava in questo tipo di iconografia l’influenza di modelli nordici tardo quattrocenteschi, rilevando per esempio come questa stessa composizione fosse stata frequentemente ripresa nella produzione di Hans Memling e dei suoi seguaci. Anche il volto di Cristo, e i dettagli del paesaggio che si staglia sullo sfondo, come le torri sulla destra, rivelano l’assimilazione di modelli nordici, a cui l’artista toscano potrebbe essersi ispirato per l’elaborazione della tavola Borghese (Stefani cit.).
Pier Ludovico Puddu