Attribuita in passato ad Agostino Carracci, la tavola è stata concordemente riferita ad un anonimo pittore toscano fortemente influenzato dalla grazia e dalle soluzioni formali care al Perugino e a Raffaello. Raffigura la Vergine con il piccolo Gesù, entrambi ritratti entro una nicchia architettonica che, celando lo sfondo, rende più vicino il gruppo all’osservatore.
Salvator Rosa (cm 77 x 59 x 7)
Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza II, n. 54; Della Pergola 1959); Inventario Fidecommissario Borghese Borghese 1833, p. 32. Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questo dipinto è tuttora ignota. L'opera, infatti, è attestata in casa Borghese solo a partire dalla fine del XVII secolo, riconosciuta - seppur con qualche riserva - con la tavola così descritta nel 1693: "quadro di tre palmi in circa con una Madonna e un Bambino in braccio che dà la Beneditione in tavola del n. 427 con cornice dorata intagliata e liscia. Incerto" (Inv. 1693; Della Pergola 1959).
Inspiegabilmente attribuita nel Fidecommisso ottocentesco e nel Catalogo di Giovanni Piancastelli (Id. 1891) ad Agostino Carracci, l'opera fu dapprima avvicinata da Adolfo Venturi all'ambiente fiorentino (Venturi 1893), e successivamente da Roberto Longhi alla produzione di Girolamo del Pacchia (Longhi 1928), pareri entrambi scartati da Paola della Pergola che nel 1959 parlò di un anonimo 'Maestro toscano' della prima metà del XVI secolo. Come riferito dalla studiosa, infatti, la resa assai debole e di modesta qualità della composizione rende arduo qualsiasi tentativo di riconoscere il suo autore, una personalità certamente influenzata dalla coeva produzione degli epigoni raffaelleschi.
Antonio Iommelli