La tela, raffigurante il Tributo della moneta, è tradizionalmente considerata quale copia parziale di uno dei dipinti di analogo soggetto eseguiti da Tiziano in età giovanile e negli anni Sessanta del Cinquecento (rispettivamente conservati a Dresda e Londra), ma al confronto con essi appare in realtà molto diverso. Il rapporto con i quadri di Tiziano si limita dunque al formato verticale e all’iconografia con le due mezze figure. Corretta è invece l’identificazione quale copia da un’incisione di Cornelius Galle che riproduce un’opera perduta dello stesso Tiziano.
Salvator Rosa (cm. 96 x 74 x 5,9)
Roma, collezione Borghese; Inventario 1693, Stanza VIII, n. 61 (?); Inventario 1790, Stanza IX, n. 45 (?); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 37. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto raffigura il Tributo della moneta, ispirato al Vangelo di Matteo (17, 24-27). Già ritenuto una derivazione da una delle opere di analogo soggetto eseguite da Tiziano in età giovanile (Dresda, Gemäldegalerie, inv. Nr. 169) e negli anni Sessanta (Londra, National Gallery, inv. NG224), al confronto con essi appare in realtà molto diverso. Il rapporto con i suddetti quadri di Tiziano si limita dunque al formato verticale, all’iconografia con le due mezze figure e ad un lontano tentativo di emulare stilisticamente le opere del maestro. È invece corretta l’identificazione quale copia dall’incisione di Cornelius Galle che riproduce un’opera perduta dello stesso Tiziano (Herrmann Fiore 2006).
La presenza della tela nella collezione Borghese potrebbe risalire alla fine del XVII secolo se identificassimo il nostro dipinto con quello così elencato nell’inventario del 1693, che tuttavia riporta un’improponibile attribuzione a Giorgione: “un quadro di 4 palmi in circa in tela di Nro Sig.re et una figura gli porge una moneta del No 83 cornice intagliata dorata del Giorgioni”. Certa è invece l’identificazione con quello descritto come “maniera di Tiziano” nell’elenco fedecommissario del 1833, da cui nasce l’idea della critica che ne ha sottolineato il rapporto con gli originali tizianeschi (Venturi 1893; Longhi 1928; Della Pergola 1955).
Ipotizzando che il prototipo perduto potesse avere una provenienza Borghese ed essere, quello sì, il quadro descritto nell’inventario del 1693 come opera di Giorgione, la nostra copia potrebbe essere riconducibile a quel novero di riproduzioni del XVII secolo eseguite, talvolta in modo piuttosto corsivo, per conto dei Borghese dagli originali in loro possesso. Dalla pulitura auspicata da Della Pergola negli anni Cinquanta, eseguita solo nel 2004, non è infatti emerso uno “studio meno spregevole di qualche pittore romano di inizio Seicento”, mentre appare confermata la possibile collocazione cronologica della tela.
Pier Ludovico Puddu