Il dipinto, già attribuito alla mano di Andrea del Sarto, è oggi concordemente riferito alla produzione del pittore fiorentino Domenico Puligo.
A livello compositivo, l’opera risente della figura di Maddalena nella pala con l’Estasi di Santa Cecilia dipinta da Raffaello per la chiesa di San Giovanni in Monte a Bologna, che probabilmente Puligo ebbe modo di vedere.
Di provenienza ignota, il quadro è attestato con certezza nella collezione Borghese solo a partire dal 1833.
Domenico Puligo, pseudonimo di origine ignota di Domenico Ubaldini, si formò in ambiente fiorentino e frequentò la bottega di Ridolfo del Ghirlandaio a partire almeno dal 1513. Il suo stile deve molto alla produzione di Andrea del Sarto (Andrea d’Agnolo), con cui instaurò uno stretto rapporto di collaborazione e di amicizia, tanto da poter studiare i disegni e i lavori in corso d’opera del maestro (A. Nesi, ad vocem Ubaldini, Domenico, detto il Puligo, in Dizionario Biografico degli Italiani, XCVII, p. 302).
La tavola rappresentante la Maddalena è certamente esemplare dell’importanza che Puligo riservò alla lezione di Andrea del Sarto, in particolare al tipico sfumato delle sue opere, che l’artista riprese con grande incisività. Secondo Vasari, che inserì la biografia di Puligo nella sua nota raccolta di Vite, l’abbondante uso dello sfumato serviva al pittore non solo per esaltare le sue figure, ma anche per mascherare errori dovuti alla sua tutt’altro che perfetta capacità disegnativa. Vasari scrive infatti che il suo “fare a poco a poco sfuggire i lontani, come velati da una certa nebbia, dava rilievo e grazia alle sue pitture, e che se bene i contorni delle figure che faceva si andavano perdendo, in modo che occultando gl’errori non si potevano vedere ne’ fondi dove erano terminate le figure” (G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, Firenze 1568, p. 104).
Il pittore tratta l’iconografia sacra della Maddalena, resa riconoscibile dai lunghi capelli e dal vasetto di unguenti che tiene in mano, nei termini del ritratto mondano, secondo una tendenza molto diffusa in ambiente fiorentino alla fine del Quattrocento e per tutto il secolo successivo, più volte sperimentato dallo stesso artista (per esempio nei dipinti di Firenze, Palazzo Pitti, o di Ottawa, National Gallery of Canada).
Il dipinto, di provenienza ignota, è attestato in collezione Borghese solo dal 1833, quando viene catalogato nell’elenco fidecommissario con la seguente descrizione: “Maddalena, di Andrea del Sarto, largo palmi 1, oncie 10; alto palmi 2, oncie 7, in tavola”.
Nella sua disamina dell’inventario dei dipinti sequestrati al Cavalier d’Arpino nel 1607, poi finiti nelle mani di Scipione Borghese, Kristina Herrmann Fiore (2000, p. 64) rileva la presenza di un “quadretto della Maddalena”, ma la sua possibile corrispondenza con l’opera di Puligo rimane incerta a causa della mancanza di ulteriori dati nella descrizione.
L’attribuzione al maestro fiorentino indicata nel 1833 viene ripresa successivamente da Giovanni Piancastelli (1891, p. 242) e da Adolfo Venturi (1893, p. 163). Il primo a proporre il nome di Domenico Puligo è Giovanni Morelli (1897, p. 123), che definisce l’opera come una delle più alte realizzazioni dell’artista, seguito da Roberto Longhi (1928, p. 208), Bernard Berenson (1936, p. 409), e dallo stesso Venturi (1932, p. 243). Anche Paola Della Pergola (1959, p. 48) riconosce l’aderenza del dipinto allo stile di Puligo, opinione a cui tende ad uniformarsi la critica successiva (Gardner 1986, pp. 283-284; La Porta 1992, p. 33).
È stato notato il rapporto di derivazione che lega la figura della Maddalena con quella del medesimo personaggio nell’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello (Pinacoteca Nazionale di Bologna), che Puligo dovette avere avuto modo di osservare, non è noto in quale circostanza. La tavola Borghese sembra infatti una rielaborazione a mezza figura della Maddalena dipinta nella celebre pala raffaellesca, da cui deriva la posa laterale con il vasetto di unguenti in mano, e un certo richiamo è rilevabile anche nei colori dell’abito.
Il dipinto è riferibile gli ultimi anni di vita di Puligo, intorno al 1526. Alcune copie sono riportate da Gardner (1986, p. 284) nel suo studio monografico sull’artista.
Pier Ludovico Puddu