Erroneamente ritenuto alla metà del Seicento un autografo del Correggio, questo piccolo rame risulta una replica di una perduta Maria Maddalena, un'opera eseguita dal Maestro parmense intorno al 1527-30 e nota attraverso la presenza di numerose copie. Il dipinto, raffigurante la santa distesa in una grotta intenta a leggere, ebbe un'enorme fortuna, ciò dovuto sicuramente alla singolarità del momento rappresentato che ritrae la protagonista in una posa delicata e sensuale, totalmente assorta nella lettura di un grosso volume, anziché nei panni di una donna contrita e rammaricata.
Fine '800, inizi ’900 (cm 33,5 x 43,5 x 3)
Roma, collezione Borghese, 1650 (Manilli 1650, p. 114); Inventario 1765, p. 156; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 15. Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questo dipinto è tuttora ignota. L'opera, infatti, è documentata in collezione Borghese solo a partire dal 1650, anno in cui Iacomo Manilli, ritenendola un autografo del Correggio, la registra tra i beni conservati presso il casino pinciano (Manilli 1650).
Questo rame, analogo nelle misure al quadro perduto di Dresda, risulta una copia della nota Maria Maddalena del Maestro parmense, da alcuni identificata con la composizione un tempo collocata presso la Gemäldegalerie di Dresda e attualmente dispersa (Gould 1976), da altri e più convincentemente con una versione recentemente apparsa sul mercato antiquario (Ekserdjian 2019). La fortuna goduta da questo quadro è testimoniata dalla presenza di numerose copie (Quintavalle 1970), alcune delle quali eseguite a Firenze da Cristofano Allori e dai suoi seguaci (Baldinucci, Vite, X, p. 281), molte altre documentate a Roma presso rinomate collezioni: una versione su tavola, dipinta da Jean Lhomme, appartenne nel 1638 al maresciallo de Créquy, mentre ben altre due rispettivamente al principe Maffeo Barberini e a Giuseppe Pignatelli (Getty Provenance Index; ora in M. Minozzi, in Correggio e l'antico 2008). Anche i Borghese ne ebbero una, documentata presso la villa pinciana fino alla fine del Settecento per poi passare, forse in seguito all'acquisto nel 1827 della splendida Danae (inv. 125), presso il palazzo di Campo Marzio dove nel 1833, per ordine di Vincenzo Camuccini, fu dotata di una nuova cornice ed infine registrata nel relativo elenco fidecommissario (Inv. Fid. 1833).
L'ipotesi, seppur affascinante, di Adolfo Venturi di assegnare il rame al pittore bolognese Francesco Albani (Venturi 1893) risulta difficilmente accoglibile: in mancanza di elementi certi, infatti, nulla al momento permette di convalidare tale pista (cfr. Della Pergola 1955).
Antonio Iommelli