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Madonna che allatta il Bambino

Rizzi Gian Pietro detto Giampietrino

(attivo in Lombardia primo quarto del sec. XVI)

L’opera figura nella raccolta già nel 1613, come risulta dal pagamento per la realizzazione della sua cornice. All'epoca la tavola era considerata autografa di Leonardo; in seguito venne concordemente assegnata al Giampietrino. Ritenuto derivazione da un perduto originale leonardesco, il dipinto ben documenta il forte ascendente esercitato dal Maestro sulla produzione artistica lombarda del Cinquecento. Si notino il contrasto tra il gruppo in primo piano e la fuga paesaggistica oltre la finestra.


Scheda tecnica

Inventario
456
Posizione
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
olio su tavola
Misure
cm 76,5 x 61
Provenienza

Collezione Borghese, testimoniata dal 1613; Inventario 1693, (Stanza III, n. 6); Inventario 1700 (Stanza IV, n. 127); Inventario 1790 (Stanza I, n. 22); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 34. Acquisto dello Stato, 1902.

Mostre
  • 1939 Milano
  • 1984 Roma, Palazzo Barberini
  • 2011-2012 Madrid, Casa Exposicion de Madrid Canal de Isabel II
  • 2015 Milano, Palazzo Reale
  • 2019-2020 Kassel, Museumslandschaft
Conservazione e Diagnostica
  • 1914 Tito Venturini Papari

Scheda

Già nel 1613, come prova il pagamento per la realizzazione della cornice (Della Pergola 1955, p. 77), la tavola si trovava nella collezione. Allora era considerata autografa di Leonardo da Vinci e venne solo in seguito, grazie al contributo di Frizzoni nel 1869, concordemente assegnata a uno dei suoi allievi, Giovanni Pietro Rizzi detto Giampietrino, e verrà menzionata da Morelli «fra le migliori sue opere» (1897, p. 158). La Vergine, pacata ed elegante, porge dolcemente il seno al bambino, la struttura piramidale viene amplificata dall’ampia veste della Madonna in contrasto con il drappo verde scuro che lascia intravedere lo scorcio di un panorama in cui si vede una via “con case prospetticamente allineate” (Venturi 1893, p. 209) dove “all’intimità dell’ambiente domestico fa riscontro la pacata scena di lavoro quotidiano” (Staccioli, Moreno 1981, p. 32).

La finezza nella realizzazione della Vergine, caratterizzata dai capelli fluenti come fossero filamenti dorati e dalle carni sfumate e soavi, così come l’apertura paesaggistica a volo di uccello, sono di evidente matrice vinciana tanto da far ritenere questo dipinto, insieme con altre versioni o copie, una derivazione da un prototipo leonardesco. L’utilizzo del colore, soprattutto la palette spesso giocata sui toni verde-rosso, sembra mutuata invece da un altro lombardo ossia Bernardino Luini. Resta in ogni caso il forte ascendente esercitato da Leonardo sulla sua scuola e in generale su tutta la produzione artistica lombarda del Cinquecento: pittura, quella lombarda, che, come dimostrano le diverse opere in collezione, fu per Scipione Borghese una vera illuminazione.

Gabriele De Melis




Bibliografia
  • A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, p. 209.
  • R. Longhi, Precisioni nelle Gallerie italiane, I: La R. Galleria Borghese, Roma 1928, p. 122.
  • P. Della Pergola, I dipinti. Roma, Galleria Borghese, Roma 1955, p. 77.
  • S. Staccioli, P. Moreno, Le collezioni della Galleria Borghese, Milano 1981, p. 32.
  • D. Sedini, Marco D’Oggiono. Tradizione e rinnovamento in Lombardia tra Quattrocento e Cinquecento, Milano-Roma 1989.
  • A. Coliva, Galleria Borghese, Roma 1994, p. 51.
  • P. Moreno, C. Stefani, Galleria Borghese, Roma 2001, p. 273.
  • K. Herrmann-Fiore, Roma scopre un tesoro: dalla pinacoteca ai depositi, un museo che non ha più segreti, Roma 2006, p. 149.