L’opera figura nella raccolta già nel 1613, come risulta dal pagamento per la realizzazione della sua cornice. All'epoca la tavola era considerata autografa di Leonardo; in seguito venne concordemente assegnata al Giampietrino. Ritenuto derivazione da un perduto originale leonardesco, il dipinto ben documenta il forte ascendente esercitato dal Maestro sulla produzione artistica lombarda del Cinquecento. Si notino il contrasto tra il gruppo in primo piano e la fuga paesaggistica oltre la finestra.
Collezione Borghese, testimoniata dal 1613; Inventario 1693, (Stanza III, n. 6); Inventario 1700 (Stanza IV, n. 127); Inventario 1790 (Stanza I, n. 22); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 34. Acquisto dello Stato, 1902.
Già nel 1613, come prova il pagamento per la realizzazione della cornice (Della Pergola 1955, p. 77), la tavola si trovava nella collezione. Allora era considerata autografa di Leonardo da Vinci e venne solo in seguito, grazie al contributo di Frizzoni nel 1869, concordemente assegnata a uno dei suoi allievi, Giovanni Pietro Rizzi detto Giampietrino, e verrà menzionata da Morelli «fra le migliori sue opere» (1897, p. 158). La Vergine, pacata ed elegante, porge dolcemente il seno al bambino, la struttura piramidale viene amplificata dall’ampia veste della Madonna in contrasto con il drappo verde scuro che lascia intravedere lo scorcio di un panorama in cui si vede una via “con case prospetticamente allineate” (Venturi 1893, p. 209) dove “all’intimità dell’ambiente domestico fa riscontro la pacata scena di lavoro quotidiano” (Staccioli, Moreno 1981, p. 32).
La finezza nella realizzazione della Vergine, caratterizzata dai capelli fluenti come fossero filamenti dorati e dalle carni sfumate e soavi, così come l’apertura paesaggistica a volo di uccello, sono di evidente matrice vinciana tanto da far ritenere questo dipinto, insieme con altre versioni o copie, una derivazione da un prototipo leonardesco. L’utilizzo del colore, soprattutto la palette spesso giocata sui toni verde-rosso, sembra mutuata invece da un altro lombardo ossia Bernardino Luini. Resta in ogni caso il forte ascendente esercitato da Leonardo sulla sua scuola e in generale su tutta la produzione artistica lombarda del Cinquecento: pittura, quella lombarda, che, come dimostrano le diverse opere in collezione, fu per Scipione Borghese una vera illuminazione.
Gabriele De Melis