Nella tavola le figure sono disposte ai lati della Madonna, che siede in posizione di assoluta centralità. Sullo sfondo, appena accennato, si intravede un elemento architettonico, particolare assai frequente nelle composizioni del Garofalo. Oltre all'arcangelo Michele, le figure rappresentate sono probabilmente da riconoscere come san Giuseppe, a destra del dipinto, e Anna e Gioacchino in secondo piano.
Collezione Borghese, Inventario Fidecommissario 1833, p. 14.
Sebbene non si conosca la provenienza originaria, questo dipinto presenta una singolarissima iconografia. La composizione, realizzata al modo veneziano con tutte le figure ritratte a mezzo busto, è dominata da un’architettura classica sulla parte sinistra dello sfondo, mentre a destra si apre uno scorcio di cielo. In primo piano, è possibile individuare immediatamente nella Vergine Maria la figura mediatrice, che con il suo sguardo rivolto verso lo spettatore e con la sua mano destra che sorregge il piccolo Gesù, consente a chi osserva il dipinto di avere accesso all’opera e al suo significato. Il Bambino, in braccio alla madre e appoggiato su un panno bianco con delle frange, indica a sua volta un mappamondo suddiviso in due calotte, l’una celeste, l’altra con un paesaggio boschivo in cui è appena accennata una figura umana: in quest’ultimo dettaglio, data anche la compresenza del lenzuolo che potrebbe alludere al sudario, è stato letto come un accenno all’orazione nell’orto (Herrmann Fiore 2002), che sommato al precedente riferimento darebbero luogo ad una prefigurazione della Passione di Cristo, tra l’altro in linea con la passione per la collocazione geografica dei luoghi sacri molto in voga anche nell’età moderna (A. Scafi, Il paradiso in terra. Mappe del giardino dell'Eden, Milano 2007). A destra, San Giuseppe sembra osservare attentamente e teneramente il gioco del piccolo Gesù, mentre a sinistra si trova San Michele Arcangelo, completamente armato di una splendida corazza e coronato con un raffinatissimo diadema, sopra al quale nella decorazione architettonica compaiono due personaggi seduti nell’atteggiamento dei prigionieri, probabile allusione della sconfitta del demoniaco tipica del culto micaelico. Dietro questa triade, si trovano due personaggi anziani in cui qualcuno ha voluto riconoscere, dato l’accenno di aureola, i santi Gioacchino e Anna.
Nonostante le diverse proposte di datazione, che variano tra il 1539-1532 (Coliva 1994), il 1530-1531 (Neppi 1959) e il 1527 (Herrmann Fiore 2002), sembra del tutto condivisibile una datazione intorno al 1524 (Fioravanti Baraldi 1993), data la forte influenza dossesca probabilmente derivabile dalla coeva collaborazione del maestro ferrarese con il Tisi per la realizzazione del Polittico Costabili destinato alla distrutta chiesa di Sant’Andrea a Ferrara (Pinacoteca Nazionale di Ferrara, invv. PNFe 189-194; Della Pergola 1955). Oltre a questo dato, è possibile notare una forte padronanza da parte di Garofalo del linguaggio del Raffaello maturo, circa nella stessa direzione delle soluzioni adottate più o meno contemporaneamente da Giulio Romano. Un peculiare e distintivo raffaellismo è particolarmente visibile soprattutto nella figura del San Michele, in possibile riferimento all’invio del cartone da parte del Sanzio al duca Alfonso I d’Este per l’opera destinata a re Francesco I di Francia del medesimo soggetto e oggi presso il Musée du Louvre (inv. 610; per la vicenda del cartone e dei legami tra la pittura di Raffaello e quella del Garofalo, con bibliografia precedente, si veda: K. Faber, Il "Trionfo di Bacco" di Benvenuto Tisi detto Il Garofalo: dal modello raffaellesco al dipinto per le "camere nuove de corte" di Ercole II d’Este, in Dosso Dossi e la pittura a Ferrara negli anni del ducato di Alfonso I, a cura di A. Pattanaro, Cittadella 2007, VI, p. 295).
Lara Scanu