Il dipinto, la cui attribuzione è stata a lungo dibattuta, è oggi generalmente ritenuto opera di Domenico Puligo (Domenico Ubaldini), artista fiorentino vicino ai modi di Andrea del Sarto. L’opera, rappresentante una Madonna col Bambino immersi in un paesaggio, è una delle varianti di un modello compositivo che il pittore rielaborò più volte negli anni della giovinezza, di cui sono noti alcuni esemplari.
Il dipinto è riferito alla mano di Domenico Ubaldini, detto Puligo, artista fiorentino formatosi presso la bottega di Ridolfo del Ghirlandaio e in stretti rapporti con Andrea del Sarto (Andrea d’Agnolo), di cui fu anche collaboratore. Il pittore lavorò per diversi ordini religiosi toscani e la sua produzione, di chiara influenza sartesca, è dedicata prevalentemente ai temi sacri (si veda A. Nesi, ad vocem Ubaldini, Domenico, detto il Puligo, in Dizionario Biografico degli Italiani, XCVII, pp. 302-304).
Nel dipinto Borghese, la rappresentazione pone al centro la Madonna, vestita di rosso con un manto verde e azzurro, mentre tiene in braccio il Bambino nudo. Alle sue spalle, su un grande sperone di roccia, si intravede una piccola figura di pastore. Nella parte destra della composizione il paesaggio continua più in profondità, fino a una chiesa, davanti alla quale è raffigurato un personaggio che cammina con un bastone, identificabile con San Giovannino.
Paola Della Pergola (1959, p. 48) suggerisce una possibile provenienza del dipinto dall’eredità di Olimpia Aldobrandini, senza tuttavia specificarne le ragioni al di là di una generica presenza di opere toscane nella sua collezione attribuite alla mano di Andrea del Sarto, a cui le opere di Puligo sono spesso ricondotte negli inventari. Nei documenti Borghese l’identificazione dell’opera appare alquanto incerta, soprattutto a causa del soggetto molto comune, e l’unica corrispondenza individuata è con la “S. Famiglia, scuola di Raffaelle, largo palmi 3, oncie 8, in tavola” citata nell’elenco fidecommissario del 1833.
A partire dal riferimento alla scuola di Raffaello indicato nella descrizione, ripreso da Piancastelli (1891, p. 305), l’attribuzione del quadro è stata a lungo dibattuta; Venturi (1893, p. 166) lo colloca in ambito toscano e, sulla stessa scia, Berenson (1904, p. 102) propone il nome di Bachiacca (Francesco Ubertini). Il primo ad accostare l’opera alla produzione di Puligo è Longhi (1928, p. 209), seguito dallo stesso Berenson (1936, p. 409) e da Della Pergola (1959, cit.), la quale vi ravvisa un’interpretazione in chiave manieristica degli sfondi del Rosso Fiorentino (Giovanni Battista di Jacopo) e lo collega alla Sacra Famiglia già attribuita a quest’ultimo, presente in Galleria (inv. 332, oggi ricondotta al Maestro dei Paesaggi Kress).
Successivamente Lockhart (1973, n. 29) rifiuta l’assegnazione a Puligo, senza tuttavia specificarne le ragioni, mentre Gardner (1986, pp. 161-162) accoglie con convinzione il nome dell’artista fiorentino sulla scorta di confronti stilistici e compositivi con la sua produzione nota. La studiosa descrive l’opera Borghese come una variante della Madonna col Bambino (già Londra, Sotheby’s, per cui si veda Gardner, cit., n. 8), da cui si differenzia solo per la resa dello sfondo, affermando che non fosse affatto inusuale per l’artista ripetere motivi, pose e anche intere composizioni. Inoltre l’uso del colore, sia nel trattamento dei toni dell’abito della Vergine sia in quello del paesaggio, si inserisce perfettamente nei modi del pittore. In anni recenti, l’attribuzione del dipinto a Puligo è stata ribadita anche da Elena Capretti (per cui si veda Domenico Puligo, 2002, p. 48).
A conferma di quanto rilevato da Gardner sulla frequente ripresa delle stesse composizioni da parte dell’artista, si segnalano altre tre varianti di questo soggetto, tutte impostate sul gruppo centrale della Madonna col Bambino ma con variazioni sullo sfondo: la prima, passata recentemente in asta a Firenze (Pandolfini, 2018), si distingue per la rappresentazione di episodi neotestamentari distribuiti nel paesaggio; la seconda e la terza, rispettivamente al Musée Fabre di Montpellier (inv. 837.1.2) e in deposito presso la Camera dei Deputati a Roma (proprietà degli Uffizi), ripropongono l’una la figura del Battista sulla destra, e l’altra uno sfondo di solo paesaggio, senza ulteriori figure.
Questo nucleo di opere, compreso il dipinto Borghese, potrebbe essere riconducibile ad una fase giovanile di sperimentazione, tra il 1515 e il 1517 (Garder, cit.).
Pier Ludovico Puddu