Il dipinto rappresentante la Madonna col Bambino è stato al centro di una discussa questione attributiva e l’accostamento a Perin del Vaga, seppur non condiviso all’unanimità, risulta al momento il più convincente. L’opera è presente in collezione Borghese almeno dal 1693, come testimoniato dall’inventario redatto in tale anno. Nel corso del tempo, il quadro è stato sottoposto a numerose ridipinture che ne avevano alterato l’aspetto originario, recuperato grazie ad un completo intervento di restauro effettuato nel 2008.
Salvator Rosa; cm 135,5 x 108,5 x 6,8
Collezione Borghese, citato in Inventario 1693, Stanza IV, n. XI; Inventario 1790, Stanza IV, n. 8; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 21. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto ha una storia attributiva piuttosto complessa, e non ancora definitivamente sciolta. Già nel 1959 Paola Della Pergola (pp. 100-101) lasciava aperta la questione catalogando l’opera sotto la generica definizione di “maestro romano della corrente michelangiolesca”. Ancora prima Federico Zeri proponeva oralmente il nome di Battista Franco, escluso dalla stessa Della Pergola, mentre Adolfo Venturi (1893, p. 190) e Roberto Longhi (1928, p. 215) riferivano il dipinto a Giulio Romano. Nel 2001 Elena Parma Armani (pp. 13-38) suggerisce che l’autore dell’opera vada ricercato tra i seguaci di Perin del Vaga (Pietro Bonaccorsi), nome ripreso successivamente da Nicole Dacos, mentre Paul Johannides propende per un’assegnazione a Gianfrancesco Penni (cfr. Herrmann Fiore 2008, p. 48).
Il nome del Bonaccorsi è fortemente sostenuto da Kristina Herrmann Fiore (cit., pp. 34-72), la quale vi collega un disegno del British Museum che considera come preparatorio per il dipinto. Secondo la studiosa, la Madonna col Bambino va riferita al primo periodo della formazione romana del pittore sotto Giovanni da Udine, il quale avrebbe anche collaborato all’esecuzione di questo soggetto dipingendo con particolare minuzia alcuni elementi presenti nella parte inferiore della scena, quali il libro, l’uccello e la canestra di frutta.
Recentemente, Caterina Furlan (2020) si è espressa a sfavore di questa ipotesi, non riscontrando una reale corrispondenza stilistica tra l’opera e i modi dei due pittori, ma non ha avanzato alcuna ulteriore proposta attributiva.
La Madonna col Bambino è presente in collezione Borghese almeno a partire dal 1693, come dimostra la sua presenza nell’inventario di tale anno: “un quadro in tavola alto palmi 5 in circa. La Madonna il Bambino del n. 29 cornice dorata di Andrea del Sarto”. La conferma che questa citazione si riferisca all’opera in esame è data dal numero 29, tuttora visibile nell’angolo in basso a destra della scena. Nel successivo inventario del 1790 il dipinto compare come di mano del Bronzino, e così anche in quello fidecommissario del 1833.
Di grande interesse sono gli elementi del tutto peculiari che caratterizzano l’opera, ognuno con una specifica valenza simbolica. Per esempio la canestra di frutta, che più tardi diverrà protagonista unica di un celebre quadro di Caravaggio, in epoca rinascimentale costituiva frequentemente l’oggetto di un esercizio interpretativo che mirava a riconoscere il significato associato ai diversi frutti, secondo legami ancorati sia alla cultura antica sia a quella ecclesiastica. Anche l’uccello, spesso presente nelle rappresentazioni della Madonna col Bambino, non corrisponde alle specie tradizionalmente diffuse in questo genere di iconografie, come per esempio il cardellino; si tratta infatti del più raro gruccione, riconoscibile dal colore del piumaggio, la cui presenza nell’opera non è spiegabile allo stato attuale delle conoscenze sulla genesi di questa tavola. Altro elemento distintivo dell’opera è il libro dei salmi tenuto nella mano destra dalla Vergine, la quale sembra essere stata interrotta nella lettura dal figlio, in atto di abbracciarla. Sulle pagine aperte si riconoscono due frasi riconducibili a brani tratti dal Antico Testamento, il primo legato all’avvento del Redentore, il secondo appartenente alla liturgia dei defunti. I due passi non sono realmente consequenziali nelle Sacre Scritture, motivo che spinge ad ipotizzare una specifica scelta, forse del committente, che ha portato a questo specifico accostamento. Infine il tappeto decorato, unito ad una rappresentazione della Vergine assimilabile a quella delle donne aristocratiche in epoca rinascimentale (si veda il diadema a cabochon che le adorna il capo, nonché la posizione eretta e lo sguardo fisso), contribuisce a creare un’immagine a metà tra l’ideale e il reale (cfr. Hermann Fiore cit.).
Nel 2008 il dipinto è stato sottoposto ad un restauro completo che ha permesso di eliminare le numerose ridipinture che ne occultavano l’originale fisionomia (si veda Tollo 2008, pp. 77-86).
Pier Ludovico Puddu