Il dipinto, riconoscibile con certezza nella raccolta Borghese solo a partire dal 1833, documenta la fortuna riscossa in Italia centrale da quel genere di pittura devozionale creata dal Perugino, cui l’opera dopo molte discussioni è stata riferita. Rappresenta la Madonna col Bambino, qui ritratti con un vasto paesaggio alle loro spalle la cui resa, ben armonizzata con l'intera composizione, costituisce un bell'esempio di quel 'dolce stile' sul quale si educò negli anni perugini il giovane Raffaello.
Parte di tabernacolo con girali d’acanto e rosette (cm 71 x 60 x 8)
(?) Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza IX, n. 506; Della Pergola 1965); Roma, collezione Borghese, 1833 (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 40, n. 33). Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questa tavola rimane ignota così come il suo ingresso tra i beni della famiglia Borghese. Nonostante, infatti, la presenza negli inventari sei-settecenteschi di molte opere elencate sotto al nome del Perugino, questo dipinto è identificabile con certezza solo a partire dal 1833, descritto nel relativo Fidecommisso come "Madonna, e Bambino, di Pietro Perugino, largo palmi 1, oncie [sic] 8, in tavola" (Inv. Fid. 1833).
L'attribuzione ottocentesca al maestro umbro, confutata sia da Giovanni Battista Cavalcaselle (1864), sia da Adolfo Venturi (Id. in Storia 1913), i quali optarono rispettivamente per Gian Battista Bertucci e Marco Meloni, fu confermata senz'alcun dubbio da Giulio Cantalamessa (Id. 1884) e in seguito accettata da tutta la critica (Williamson 1900; Gnoli 1923; Longhi 1928; De Rinaldis 1948; Della Pergola 1955; Herrmann Fiore 2006; Zalabra 2014) ad eccezione sia di Bernard Berenson (1968) e di Ettore Camesasca (1969), che giudicarono il dipinto parzialmente autografo; sia di Pietro Scarpellini (2004). Questi, nella monografia dedicata al Vannucci, sospetta dell'autografia della variante romana collocandola di conseguenza tra le opere ritenute dubbie, pista in parte già percorsa da Chiara Stefani, che nel 2000 parlava di replica di bottega, e da Claudia La Malfa che nel 2011 avvicina questa Madonna a un anonimo maestro umbro influenzato da quella produzione del pittore eseguita a cavallo tra Quattro e Cinquecento. A detta della studiosa, infatti, le figure della Vergine e del Bambino risultano speculari a quelle realizzate dal Perugino nel 1496 nel Gonfalone della Giustizia (Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria, inv. 278) dove però lo sguardo di Maria non è rivolto verso l'esterno come invece è tipico della produzione di devozione privata della sua bottega (La Malfa 2011). Secondo La Malfa, inoltre, è probabile che per questa composizione l'atelier del Vannucci abbia utilizzato un disegno del Maestro ora al Louvre (Département des Arts Graphiques, inv. 4370), reiterando quei tratti caratteristici delle sue figure come la posa e l'acconciatura della testa della Vergine, qui caratterizzata da una delicata scriminatura e da una massa di capelli annodati ai lati, sulle orecchie.
Il primo a stabilire una relazione tra il quadro Borghese, la Madonna di Francoforte (già coll. Mumm, Städel Museum, inv. 843) e quella del Louvre (inv. 720), tutte giudicate originali (Williamson 1900), fu George C. Williamson (Id.) che da tale raffronto confermò sia l'autografia che la precedenza del dipinto romano, considerato però da Enzo Camesasca (Id. 1959; 1969) di qualità leggermente inferiore rispetto alla variante del Museo Puškin di Mosca (già coll. Stroganov, inv. 2665) ma vicino alla Madonna col Bambino e san Giovannino di Bruxelles (Musées Royaux des Beaux-Arts, inv. 1484). L'esistenza di queste redazioni, alle quali va aggiunta senz'altro quella del Fitzwilliam Museum di Cambridge (inv. 120), testimonia la fortuna di un soggetto ampiamente replicato dal Maestro nel corso della sua carriera, collaudato già qualche anno prima sia nella Pala dei Decemviri (1495-96; Pinacoteca Vaticana, inv. 40317) che in quella di Fano (1497; Fano, chiesa di Santa Maria Nuova) con le quali, in effetti, fu messo a punto un particolare modello tipologico della Vergine, ritratta col Bambino in grembo che con una mano si aggrappa alla scollatura della madre.
Di certo, alcune debolezze visibili nell'opera in esame, come la resa della mano e la pesantezza dei panneggi, lasciano ipotizzare l'intervento della bottega che, come è noto, a partire dal primo decennio del XVI secolo fu solita riutilizzare cartoni e disegni del vecchio Maestro per creare nuove composizioni. Tuttavia, malgrado queste ingenuità, non sembra però che ci siano valide ragioni per escludere questa tavola dal catalogo del pittore che dovette dunque eseguirla intorno alla prima metà del secondo decennio del XVI secolo.
Antonio Iommelli