La tavola, firmata sul cartiglio Joannes Bellinus / faciebat, è stata in passato oggetto di discussioni sull'autografia belliniana, dovute anche alla prassi dell’articolata bottega di Giovanni Bellini che realizzò, su idee e disegni del maestro, opere di destinazione domestica in numerose repliche e varianti.
L’attribuzione al maestro veneziano della Madonna con Bambino è ormai concorde, per le qualità pittoriche dell’opera, Le superfici morbide, la cromia smaltata e la chiara luminosità naturale che pervade il paesaggio come il primo piano, conducono a un inquadramento cronologico del dipinto nella fase matura dell'attività di Bellini, a una datazione consolidata, nella critica, intorno al 1510, ma recentemente anticipata ai primi anni del secolo.
Emerge nella composizione il silenzioso dialogo tra Madre e Figlio, che si manifesta nella malinconia contenuta e consapevole di Maria e nell’espressione assorta del Bambino, mitigate dalla umana tenerezza dei gesti. Vi si ritrova quella particolare capacità di Bellini di stabilire una relazione, compositiva e simbolica, tra i protagonisti e lo sfondo. Oltre la cortina verde alle spalle della Vergine è un paesaggio fatto di quinte di colline e di monti sfumati nell’azzurro della lontananza, con un sentiero percorso da due viandanti che termina nel punto dove si erge un pioppo tremulo, prossimo alla Madonna e al Bambino. Il pioppo è un noto simbolo funebre di origine antica ed è presagio, in ambito religioso, della passione di Cristo, preannunciata anche dalle espressioni tristemente pensose della Vergine e del Bambino.
Collezione Borghese, citato per la prima volta nell’Inventario Fidecommissario Borghese (1833, A, p. 10, n. 46). Acquisto dello Stato, 1902.
In basso, su un cartiglio: Joannes bellinus/ faciebat
La composizione raffigura la Vergine seduta, con il Bambino in braccio, appena dietro un sottile parapetto marmoreo in primo piano, sul quale è apposto un cartiglio con la firma del pittore.
La Madonna sorregge il Bambino sul ginocchio sinistro, con la mano corrispondente a trattenerlo sul fianco, mentre con la destra sostiene il piedino del piccolo Gesù. Indossa una veste rosacea stretta sotto il seno da un laccio, e un manto azzurro foderato di seta ocra dorato. Un velo bianco le copre in parte i capelli scriminati nel mezzo, incorniciando l’ovale pieno del volto. Lo scollo della veste, il velo e il manto sono ornati da un bordo ornato da esili fogliami e girali ricamati in oro.
Il Bambino dalle forme piene, con la testa coperta da una sottile peluria di capelli biondi, appena coperto nelle parti intime da un perizoma giallo dorato, stringe con tenerezza la mano della Madre. Entrambi hanno gli occhi abbassati in un’espressione pensosa, connotata da una contenuta malinconia nella Vergine e da un’espressione assorta in Gesù, che nel movimento sospeso della destra appena aperta e nella torsione del viso sembra rivolto verso il gesto accorto di Maria.
Una tenda verde alle spalle delle due figure, a separare dal fondo lo spazio del sacro, è tirata a metà, mostrando l’apertura su uno scorcio di paesaggio la cui profondità è segnata dalle quinte successive delle alture che digradano anche nel tono e nel colore, assorbite negli ultimi piani dall’azzurro del cielo, solcato da cumuli di nubi bianche più dense all’orizzonte. Essenziali gli elementi caratterizzanti della veduta, traguardata attraverso la sagoma sottile del pioppo tremulo: i pochi edifici disseminati in lontananza, le due figurine sul sentiero, il cui andamento serpentinato conduce lo sguardo nel percorso dal fondo al primo piano, pervaso dalla stessa luce naturale del paesaggio.
La cromia luminosa e perlacea, caratterizzata da accordi calibrati di colore e dal lieve sfumato che rende la morbidezza delle carni, la sensibilità atmosferica, sono proprie dell’attività tarda del pittore, così come carica emozionale intensa ma perfettamente controllata.
La tavola, documentata per la prima volta nella collezione Borghese nell’Inventario Fidecommissario del 1833, fu acquisita probabilmente non molto tempo prima di questa data.
La storia critica del dipinto, ormai piuttosto compatta, fu inizialmente controversa. Riconosciuto come opera autografa da Crowe e Cavalcaselle (1871; 1912, p. 191) e quindi da Cantalamessa (1914, p. 105), fu ritenuto da alcuni studiosi opera di allievi, nonostante la firma – peraltro stesa in un insolito corsivo, rispetto alla più consueta scrittura in capitali – considerata apocrifa. Tra le proposte in contrasto con l’autografia belliniana, quelle di Morelli (1890, p. 311; 1897, p. 242), che lo attribuì a Francesco Bissolo; Venturi, che lo riferì dapprima genericamente alla bottega e più tardi a un anonimo vicino a Rocco Marconi (1893, p. 112 e 1915, VII, pp. 588-589); Bernardini, che propose una attribuzione a Vincenzo Catena (1910, p. 142); Gronau (1911, pp. 95-98) che tuttavia, dopo aver attribuito l’opera in un primo momento al cosiddetto pseudo-Basaiti, tornò sui suoi passi restituendo il dipinto al maestro. Quasi tutta la critica successiva si espresse in modo concorde sull’attribuzione a Bellini salvo Dussler (1935, p. 151 e 1949, pp. 75, 101) e Robertson (1968, p. 116) che propendevano per la bottega e Heinemann (1962, I, p. 39) che la assegnava al “Maestro delle Tre Età Pitti”. Oggi l’attribuzione al Giambellino è indiscussa, sostenuta anche dall’ultimo restauro, che ha restituito piena leggibilità alla tavola, e alle indagini diagnostiche che hanno rilevato tracce del disegno sottostante, in parte riportato da un cartone ma accompagnato da alcuni tratti più liberi e da alcuni piccoli pentimenti, come quello mirato a sollevare leggermente la mano destra della Vergine a sostenere in modo migliore il piede del Figlio.
D‘altra parte, nella vasta produzione di Giovanni Bellini rientra anche l’ideazione di numerose tipologie di composizioni di Madonna con Bambino, sempre accompagnata da uno sfondo di paesaggio, ripetute dagli allievi in una quantità considerevole di repliche con piccole varianti; un fenomeno che ha contribuito alle oscillazioni attributive di tali opere (tra i vari contributi sull’argomento, A. Gentili, Giovanni Bellini, la bottega, i quadri di devozione, in “Venezia Cinquecento. Studi di Storia dell’arte e della cultura”, I, 2, pp. 27-60; A. Golden, Creating and re-creating, the practice of replication in the workshop of Giovanni Bellini, in Giovanni Bellini and the art of devotion, a cura di R. Kasl, Indianapolis 2004, pp. 90-127).
Anche la composizione della tavola Borghese, con Gesù seduto sul ginocchio di Maria, che lo trattiene con una mano mentre con l’altra ne sorregge il piedino, è stata replicata più volte: alcune riferite a Rocco Marconi, anche in collaborazione col maestro, come quella ad Atlanta, High Museum of Art, e a già Breslavia, Muzeum Narodowe, vicinissime alla Madonna Borghese ma in controparte; lo stesso gesto premuroso della Madre compare nell’esemplare attribuito a Nicolò Rondinelli a Roma, Galleria Doria Pamphilj e in quello riferito a Bellini e bottega a Indianapolis, Museum of Art.
La bottega belliniana è responsabile della vasta diffusione di questo genere di quadri destinati alla devozione privata, trattando un tema di impatto immediato, per il suo aspetto umano e la sua chiarezza compositiva ma che, dietro una apparente semplicità, offre la possibilità di infinite varianti, di dettagli portatori di significato, a commento della sua funzione fondamentale: la prefigurazione della passione di Cristo, che rende tali opere uno strumento, privato, di meditazione devota (E. Battisti, Le origini religiose del paesaggio veneto, Roma 1980; R. Goffen, Icon and vision: Giovanni Bellini’s half lenght Madonnas, in “The Art Bulletin”, LVII, 1975, pp. 487-518); A. Gentili, Giovanni Bellini e il paesaggio di devozione, in “Rivista di estetica”, 45, 2005, n.s. 29, pp. 147-157).
In molti casi tale significato è sottolineato da simboli noti e di immediata comprensione nel contesto religioso di origine, spesso presenti in mano o accanto al piccolo Gesù, come il pomo allusivo al peccato originale, il cardellino dal capo rosso, riferimento consueto alla Passione, il libro chiuso delle Scritture, e così via, cui si aggiungono dettagli, ugualmente significativi, diffusi nel paesaggio. Il Bambino è raffigurato a volte addormentato, a volte steso su un parapetto – richiamo simbolico all’altare o alla pietra dell’unzione, con cuscino e lenzuolo (R. Goffen, Giovanni Bellini, London 1989; Il colore ritrovato. Bellini a Venezia, catalogo della mostra (Venezia, 30 settembre 2000-28 gennaio 2001) a cura di R. Goffn e G. Nepi Scirè, Milano 2000, pp. 8-9).
Questa rappresentazione propone invece una essenzialità assoluta, di profonda efficacia, nella quale il dialogo con il riguardante è creato dalla sensibile naturalezza delle figure, dalla commovente malinconia dell’espressione consapevole della Madre in muto dialogo con il Bambino. La limpidezza smaltata del colore, insieme all’espediente compositivo del parapetto e del tendaggio, spingono il gruppo sacro in primo piano, verso l’osservatore, mentre dallo sfondo di paesaggio emerge il sottile pioppo tremulo, un antico e discreto simbolo funebre di lamento, allusivo, in ambito religioso, alla Passione (Levi D’Ancona 1977, pp. 57-58).
La datazione del dipinto, in virtù della fusione atmosferica, della morbidezza nell’esecuzione dell’incarnato e del panneggio, dell’apertura paesaggistica, si colloca nell’ultimo periodo della carriera dell’artista. Nel catalogo dell’opera del maestro veneziano del 2019, il curatore Mauro Lucco (pp. 269-285), riesamina la scansione della sua attività e, rileggendo i documenti relativi al pittore e alla sua famiglia, propone – come già anticipato nel catalogo della mostra del 2008 – un avanzamento della sua data di nascita in prossimità del 1440, rispetto alla posizione più di consueto rappresentata nella critica per una data intorno ai primi anni Trenta, in genere attestata intorno al 1534 (Goffen 1989, pp. 2-4 e App. I). Nella scheda della Madonna Borghese, nello stesso catalogo, Villa (2019, p. 530) ripercorre la storia critica del dipinto e della sua datazione, rilevando la fitta rete di intrecci con altre opere; tra l’altro, per il gruppo della Madonna con il Figlio richiama una citazione nella Madonna con Bambino in trono con i santi Pietro e Marco e tre Procuratori veneziani del Walters Art Museum di Baltimora, del 1510, data intorno alla quale è stata posta quasi concordemente dalla critica l’esecuzione della tavola Borghese. L’autore torna tuttavia sulla questione e, alla luce dei confronti stilistici diretti compiuti in occasione della mostra romana del 2008 alle Scuderie del Quirinale, propone di anticipare la datazione dell’opera ai primi anni del Cinquecento.
Simona Ciofetta