Il dipinto, annoverato tra le tarde acquisizioni della quadreria sotto il nome del Perugino, risulta ormai concordemente espunto dal catalogo del pittore e avvicinato alla mano di un suo seguace: pur ricalcando schemi e soluzioni formali care al Maestro, l'anonimo esecutore non riesce infatti a infondere alla composizione quel senso di grazia e armonia tipiche delle realizzazioni del Perugino.
Raffigura la Vergine Maria mentre tiene sulle gambe il piccolo Gesù, ritratto nudo e con un'aureola rossa crusignata. Un ampio paesaggio con alberi e architetture si estende alle loro spalle, interrotto al centro da un drappo scuro che separa le due figure dallo sfondo.
Salvator Rosa (cm 55,4 x 50,7 x 5)
Roma, collezione Borghese, 1833 (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 35; Della Pergola 1955). Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questo dipinto è ignota. L'opera, infatti, è attestata nella raccolta pinciana solo a partire dal 1833, descritta nei relativi elenchi fedecommissari come tavola del Perugino. Tale attribuzione, rivista da Giovanni Piancastelli come 'Scuola del Perugino' (Piancastelli 1891), fu in parte scartata da Adolfo Venturi (1893) il quale incluse la presente composizione tra quelle opere derivate dal Vannucci eseguite a più riprese dallo Spagna e da Eusebio da San Giorgio.
Accettando quanto proposto dal Cavalcaselle, Roberto Longhi (1928) propose di avvicinare il dipinto al faentino Giovan Battista Bertucci, nome però scartato da Paola della Pergola, secondo cui (Della Pergola 1955) l'autore sarebbe da rintracciare tra i tardi epigoni della scuola peruginesca, pista percorsa e confermata dalla critica successiva (Todini 1989; Herrmann Fiore 2006).
Antonio Iommelli