Firmata e datata 'SCIPIO GAJETANUS FACIEBAT 1592', l'opera faceva parte della ricca collezione del cardinale Girolamo Bernerio, donata da questi a Scipione Borghese nel 1611. Citata nel 1650 da Iacomo Manilli con l'esatta indicazione al celebre pittore gaetano, la tela si rifà al modello classico della Vergine 'Eleusa', coerente con la spiritualità controriformata che esigeva immagini sacre dal contenuto chiaro e di immediato impatto. Raffigura la Madonna appoggiata con la propria guancia a quella del figlio Gesù, ritratta con in mano una tenera rosa, le cui spine alludono al mistero della passione e morte di Cristo.
Salvator Rosa (cm 76 x 62 x 6)
Roma, collezione Girolamo Bernerio, 1611; Roma, collezione Borghese, 1611; 1650 (Manilli 1650); Inventario 1693, Stanza I, n. 28; Inventario 1790, Stanza I, n. 32; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 37. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto proviene dalla raccolta del cardinale Girolamo Bernerio ("un quadro della Madonna et Nostro Signore con cornice copia del Gaetano scudi cinque"; Schütze 1999), donato da questi assieme ad altre opere a Scipione Borghese nel 1611, anno in cui entrò a far parte della raccolta capitolina dove nel 1650 fu visto da Iacomo Manilli. Questi, nella sua descrizione della collezione Borghese, riferisce debitamente il quadro a Scipione Pulzone ("il quadro piccolo che sta sotto, della Madonna con Christo in braccio è di Scipione Gaetano"; Manilli 1650), paternità ribadita in tutti i documenti borghesiani (Inv. 1693; Inv. 1790; Inventario Fidecomissario 1833), confermata dalla critica (Barbier de Montault 1870; Piancastelli 1891; Venturi 1893; Longhi 1928; Della Pergola 1959) e avvalorata da un'iscrizione - con firma e data '1592' - riemersa solo nel 1952 in seguito ad un intervento di pulitura.
Come espresso in più sedi (Zeri 1957; Vaudo 1976; De Mieri 2016), l'opera si rifà a modelli pittorici antichi, coerente con la spiritualità controriformata che esigeva immagini sacre dal contenuto chiaro e di immediato impatto. Si tratta di una perfetta esemplificazione delle istanze post-tridentine, riassunte dal meticoloso Pulzone con forme rigorosamente 'sterilizzate, polimentate e lucidate' (cfr. Zeri 1957, Zuccari 2013 in Scipione Pulzone 2013, pp. 75-78) che ritornano in altre opere coeve dell'artista, come nella Sacra Famiglia di collezione Borghese (1588-80; inv. 313); nella Santa Prassede del Museo de la Colegiata di Castrojeres (1590) e nella Madonna della Divina Provvidenza di San Carlo ai Catinari a Roma (1594 circa).
Raffigura la Madonna secondo il modello detto dell'Eleusa (dal greco «che mostra tenerezza»). Maria, infatti, è ritratta con la propria guancia appoggiata a quella del figlio Gesù, mentre con una mano tiene una rosa, simbolo della passione di Cristo e, secondo quanto descritto nel Mariale Aureo di Jacopo da Varagine, del suo ruolo di mediatrice tra l'uomo e Dio (Nicolaci 2013).
Una replica del dipinto, resa nota da Adolfo Venturi (1893), si conserva a Madrid, presso il Museo del Prado mentre un'altra versione, firmata e datata (Huesca, Cattedrale), è stata resa nota da Rebeca Carretero Calvo (2012). Una raffinata derivazione, attribuita a Giovan Francesco Guerrieri (Cesena, collezione Pieri), è stata pubblicata nel 2009 da Massimo Pulini che ne ha ipotizzato l'esecuzione ai tempi del soggiorno romano del noto pittore di Fossombrone quando, attivo per i Borghese, ebbe modo di vedere e studiare la tela di Pulzone.
Antonio Iommelli