Nonostante un’iscrizione settecentesca sul retro riferisca la tavola alla mano di Giovan Francesco della Nunziatella (Giovan Francesco Penni?), le qualità stilistiche dell’opera hanno fatto propendere per la sua attribuzione a Giulio Romano. La riflettografia eseguita sul dipinto nel 1999 ha rivelato la presenza di un disegno sottostante strettamente affine ad uno studio su carta di Raffaello conservato all’Ashmolean Museum di Oxford. Il disegno è forse riconducibile alla mano del maestro, a cui spetterebbe l’impostazione dell’opera inizialmente pensata con il solo gruppo della Madonna col Bambino e poi completata dall’allievo con l’aggiunta di San Giovannino. Non è escluso, tuttavia, che l’invenzione sia attribuibile interamente a Giulio Romano, a cui è ricondotta la stesura pittorica; l’artista si sarebbe ispirato, oltre che al disegno di Oxford, ad altre composizioni raffaellesche come la Madonna della Seggiola, la cui eco è rintracciabile nei volti accostati di madre e figlio, e a modelli michelangioleschi, come il Tondo Taddei, da cui deriva la figura di San Giovannino.
Salvator Rosa (cm 145 x 105 x 8,5)
Inventario 1693, Stanza VII, n. 13 (?); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 24, n. 32. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto rappresenta la Vergine seduta in atto di abbracciare il figlio, con il volto accostato al suo, mentre nella mano destra tiene un rotolo per le fasciature che si snoda fino a terra. A sinistra della composizione San Giovannino ha le braccia protese verso l’Infante e gli porge il simbolico cardellino, prefigurazione della passione a cui sembra alludere anche l’espressione malinconica della Vergine. L’altezza dei fanciulli, entrambi rappresentati in piedi, è armonizzata dal cuscino e dal cassetto su cui i due sono rispettivamente poggiati. Sullo sfondo si intravede un letto a baldacchino con un tendaggio verde e sulla destra, nella penombra, compare un cane di piccola taglia.
Sul retro della tavola, in caratteri settecenteschi, appare scritto “Giov. Francesco della Nunziatella” (Giovan Francesco Penni?), indicazione che ha spinto gli studiosi a ricercare l’opera tra i dipinti con tale attribuzione elencati negli inventari Borghese del Sei e Settecento.
I riferimenti emersi (per cui si veda Della Pergola 1959, pp. 89-90, n. 126) appaiono tuttavia incerti per la mancanza di corrispondenza nella descrizione del soggetto o nelle dimensioni della tavola. Un possibile riscontro sembra invece rintracciabile nel “quadro in tavola di 5 palmi in circa con la Madonna il Bambino in piedi che posa sopra un cuscino e San Giovannino con Cagnolo del N. 135 con cornice dorata di Leonardo da Vinci” riportato nell’inventario del 1693. La misura di 5 palmi può facilmente adattarsi all’altezza del dipinto, corrispondente a 126 centimetri, e la descrizione di alcuni dettagli, in particolare la posizione del Bambino in piedi su un cuscino e la presenza del cane, rendono plausibile l’identificazione dell’opera con quella citata. Se così fosse, questo elemento attesterebbe la presenza del quadro in collezione Borghese almeno a partire dalla fine del Seicento, ferma restando tuttavia la mancanza di ulteriori dati sulla sua provenienza.
Nell’elenco fidecommissario del 1833 il dipinto è stato invece identificato con la “Sacra Famiglia, scuola di Raffaelle, largo palmi 4, oncie 1; alto palmi 5, oncie 4, in tavola” (Della Pergola, cit.).
Riconoscendo l’appartenenza della tavola all’ambito di Raffaello, il nome di Giulio Romano (Giulio Pippi) viene proposto per la prima volta da Venturi (1893, p. 182), seguito da Cantalamessa (1912, n. 374), Berenson (1909, II, p. 185; Id. 1936, p. 224) e Della Pergola (cit.), mentre Longhi (1928, p. 213) ritiene l’opera una derivazione dallo stesso artista.
Successivamente tale assegnazione viene confermata da Anna Lo Bianco (1984, pp. 105-107) sulla scorta di alcuni elementi riconducibili ai modi del Pippi, quali il colorismo cangiante insieme alle ombreggiature accentuate in corrispondenza delle pieghe dei corpi e delle vesti, ma anche la presenza del cane sulla scena, secondo una propensione tipica dell’artista di inserire gli animali nei suoi dipinti. Inoltre, alcuni dettagli iconografici come la sponda del letto, il tendaggio verde e il sostegno del baldacchino rimandano ad altre composizioni di Giulio Romano, in particolare la Madonna della gatta (Napoli, Museo di Capodimonte) e la Madonna Hertz (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini).
Nel 1999 si procede al restauro dell’opera, rimuovendo i pesanti strati di vernice che ne avevano alterato la lettura tanto da indurre parte della critica a declassarla ad un prodotto di bottega (Ferino Pagden 1989, p. 271). La riflettografia eseguita in tale occasione ha rivelato un disegno sottostante in cui appare solo la Vergine in atto di abbracciare il Bambino. La madre, con la testa rivolta di profilo, bacia il figlio sulla guancia, mentre quest’ultimo le tira scherzosamente il velo con la mano sinistra, in evidente ripresa di un motivo sviluppato da Raffaello in un disegno conservato all’Ashmolean Museum di Oxford, già messo in relazione con il dipinto Borghese (Lo Bianco, cit., p. 105; Oberhuber 1999, p. 248). La successiva modifica della gestualità del Bambino e dell’inclinazione del volto della Vergine, frontale e non più di profilo, e l’inserimento di San Giovannino cambiano completamente l’iconografia del quadro, trasformando un’intima rappresentazione della madre con il figlio in un episodio evocativo della Passione di Cristo.
Questa scoperta ha aperto la strada a diverse ricostruzioni inerenti la genesi del dipinto: da una parte, ritenendo il disegno di mano di Raffaello stesso, si è ipotizzato che quest’ultimo avesse impostato il dipinto con il solo gruppo della Madonna col Bambino, poi modificato e completato da Giulio Romano con l’aggiunta della terza figura e le conseguenti variazioni nell’atteggiamento dei primi due personaggi, oltre che l’inserimento di diversi altri particolari (Raphael 2012, p. 242). In alternativa, si è pensato che la variazione del gruppo principale fosse già stata prevista dal maestro, spettando all’allievo l’invenzione della sola figura del più michelangiolesco San Giovannino (Herrmann Fiore 2005, p. 44; Ead. 2006b, p. 170). Tuttavia non è escluso che, oltre alla stesura pittorica, anche il disegno sia riconducibile alla mano dello stesso Pippi (Raphael, cit., pp. 242-244), che si sarebbe ispirato a motivi raffaelleschi tratti dal foglio di Oxford ma anche, più in generale, alla Madonna della seggiola conservata a Palazzo Pitti (Firenze). Nel dipinto Borghese, la dinamica dell’abbraccio tra madre e figlio e l’accostamento dei loro volti rimandano alla nota tavola raffaellesca, da cui tra l’altro deriva la Madonna col Bambino della raccolta Wellington ad Aspley House, attribuita a Giulio Romano, di cui già Della Pergola (cit.) notava l’affinità con l’opera in esame. L’ipotesi che anche la stesura pittorica della tavola Borghese sia da ricondurre, almeno in parte, alla mano di Raffaello (Oberhuber, cit.) appare invece più debole alla luce della resa coloristica e dei contrasti luce-ombra, più affini ai modi dell’allievo (Herrmann Fiore 2006b, p. 169).
La medesima gestualità del Bambino, con il braccio proteso in avanti, è rintracciabile nella prima stesura di un quadro di stesso soggetto conservato alla Walters Art Gallery di Baltimora e ritenuto una derivazione da Giulio Romano ad opera di Raffaellino del Colle (Zeri 1987, p. 112). Tramite l’indagine radiografica del dipinto è infatti emerso che in un primo momento l’autore avesse qui riproposto lo stesso particolare figurativo del dipinto Borghese, forse nell’intento di trarne una replica (Raphael, cit., p. 244).
Ulteriori riferimenti per il dipinto provengono dall’ambito michelangiolesco, in particolare per la figura in torsione e allungata della Vergine, che sembra risentire degli affreschi della Cappella Sistina, e per il San Giovannino, derivato dal medesimo soggetto modellato nel Tondo Taddei conservato alla Royal Academy di Londra (Lo Bianco, cit., p. 106; Joannides 1985, pp. 34-35; Jaffé 1992, p. 36; Raphael, cit., p. 241).
Riguardo alla cronologia dell’opera, alcune considerazioni sono emerse in conseguenza alla scoperta del disegno sottostante: se da una parte quest’ultimo oscilla tra il 1512-1513 e il 1518, dall’altra il completamento del dipinto da parte di Giulio Romano potrebbe anche risalire ad un momento successivo alla morte del maestro nel 1520 (Herrmann Fiore 2005, cit.; Ead. 2006b, p. 168; Raphael, cit., p. 242).
Pier Ludovico Puddu