Il soggetto, già interpretato come il Martirio di Ignazio di Antiochia, è stato riconosciuto nel più comune Martirio di San Gennaro, gettato in mezzo alle fiere prima di essere decapitato. L’opera è stilisticamente affine ai modi di Francesco Fracanzano, probabilmente riconducibile al suo ambito, e risente delle tele con storie di San Gregorio Armeno nell’omonima chiesa a Napoli dipinte dall’artista pugliese nel 1635. Il San Gennaro è quindi databile posteriormente a tale anno.
‘800 (con kymation) cm. 123,5 x 145,5 x 10
Acquisto del principe Camillo Borghese da Ignazio Grossi, 1818; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 14, n. 58. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto fa parte di un lotto di cinque opere acquistate da Camillo Borghese presso Ignazio Grossi nel 1818. Nella relativa ricevuta di pagamento la tela è descritta come “Ignazio Vescovo investito da due leoni”, di mano dello Spagnoletto (Jusepe de Ribera; doc. cit. in Della Pergola 1959, p. 226, n. 100). Pochi anni dopo, il quadro è catalogato nell’Inventario fidecommissario (1833) con la seguente descrizione: “Martirio di Sant’Ignazio, di Luca Giordani, largo palmi 5, oncie 5; alto palmi 4, oncie 5”. L’attribuzione a Giordano viene mantenuta da Piancastelli (1891, p. 375) e Venturi (1893, p. 171), mentre Longhi (1928, p. 211) individua nell’opera delle relazioni con la pittura di Agostino Beltrano e del pugliese Cesare Fracanzano. Quest’ultimo nome è accolto con favore da De Rinaldis (1939, p. 37) e Della Pergola (1955, pp. 88-89, n. 158), e lo si ritrova anche nel più recente catalogo della Galleria Borghese redatto da Herrmann Fiore (2006, p. 115).
Il soggetto, già riferito al martirio di Sant’Ignazio di Antiochia, è stato interpretato più convincentemente da Ferdinando Bologna (1955, pp. 55-56, nota 1; Id. 1958, pp. 126-127, nota 19) come il martirio di San Gennaro, gettato in mezzo alle fiere prima di essere decapitato, tema più comune rispetto al primo. Lo studioso inserisce il dipinto in un gruppo di opere databili agli anni Quaranta del Seicento facenti capo al Cristo nell’orto degli Ulivi del Duomo di Pozzuoli, che lui stesso riferisce ad un anonimo artista nell’ambito di Francesco Fracanzano, fratello del già citato Cesare e, come lui, trasferitosi dalla Puglia a Napoli, dove frequenta la bottega del Ribera (Schiattarella 1984, I, pp. 143-146). L’ipotesi avanzata da Bologna di isolare un nucleo di opere tra le numerose già accostate o inserite nel corpus di Francesco, come appunto il Cristo di Pozzuoli, e di ricondurle ad altra mano (comprendendovi anche il San Gennaro Borghese), viene ripresa da Stefano Causa (1972, p. 934), il quale tuttavia non avanza alcuna proposta identificativa sull’anonimo maestro. La possibilità che si tratti di Michelangelo Fracanzano, figlio di Francesco e anch’egli pittore, come proposto in un primo momento da Bologna, è ben presto smentita dallo stesso studioso per motivi di incongruenza cronologica (Bologna 1958, p. 127; Causa, cit.).
Successivamente, Novelli Radice (1980, p. 193) riconduce il dipinto Borghese al pittore napoletano Nunzio Rossi (si veda anche Brejon de Lavergnée 1983, p. 272, n. 75), la cui data di nascita attestata dalle fonti al 1626 è tuttavia troppo tarda rispetto all’esecuzione dell’opera, collocabile tra il quarto e il quinto decennio del secolo. Il dipinto, come anticipato, è stato messo in relazione al Cristo di Pozzuoli, databile alla metà degli anni Quaranta (Bologna 1955, cit.; Id. 1958, cit.), e risente delle tele con storie di San Gregorio Armeno nell’omonima chiesa a Napoli, realizzate da Francesco Fracanzano nel 1635 e considerate i suoi capolavori. Il San Gennaro è quindi da ritenersi eseguito nell’intervallo di tempo intercorso tra queste opere (Bologna 1958, cit.; Schiattarella, cit.; Guarino 1992, p. 41).
Pier Ludovico Puddu