Il soggetto del dipinto, affrontato più volte da Rubens nel corso della sua carriera, è la più antica versione del tema eseguita dall’artista. L’opera è presente in collezione Borghese almeno a partire dalla metà del Seicento, come testimoniato dalla guida della Villa Pinciana redatta da Manilli. Tuttavia, il pagamento di una cornice ad Annibale Durante per “il quadro dove è una Susanna” datato 1622, forse riferibile a questo dipinto, potrebbe attestarne la presenza nella raccolta già a partire da tale anno. Non è certo se il committente dell’opera possa identificarsi con il cardinale Scipione, o se quest’ultimo lo avesse acquisito in un secondo momento, direttamente dall’artista o da un precedente proprietario. La tela, ritenuta in passato riconducibile al primo periodo romano di Rubens, è oggi generalmente riferita agli anni 1606-1607, in corrispondenza del secondo soggiorno dell’artista nell’Urbe.
Salvator Rosa cm. 113,5 x 84,5 x 7
Roma, collezione Scipione Borghese, 1622 (?); Inventario 1693, Stanza II, n. 16; Inventario 1700, Stanza II, n. 5; Inventario 1790, Stanza VI, n. 6; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 24, n. 3. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto Susanna e i vecchioni è la versione più antica del tema eseguita da Peter Paul Rubens, il quale affrontò più volte questo soggetto.
L’opera è citata nella guida della Villa Pinciana redatta da Jacopo Manilli nel 1650, come “La Susanna sollecitata dai Vecchi, è di Pietro Paolo Rubens”, tuttavia Paola Della Pergola (1959, pp. 183-184, 221, n. 82) individua un più antico riferimento alla tela nel pagamento in favore di Annibale Durante “per una cornice per il quadro dove è una Susanna”, datato 1622, che attesterebbe la presenza dell’opera in collezione Borghese già a partire da tale anno.
Nel 1642 Giovanni Baglione (p. 363) ricorda “le due Susanne” tra le opere di Rubens che hanno nobilitato non solo la città di Roma ma tutta Europa, tra cui vi era probabilmente quella Borghese, che l’autore poteva conoscere per via diretta.
L’opera è individuabile negli inventari Borghese a partire da quello redatto nel 1693 senza mai perdere l’attribuzione a Rubens, segno della straordinaria notorietà goduta nel corso del tempo.
Non è possibile stabilire con certezza se il dipinto fosse stato eseguito direttamente per il cardinale Scipione o se pervenne a quest’ultimo in un secondo momento, tuttavia è noto che l’artista godesse del suo favore, anche in virtù del ruolo ricoperto dal Borghese come protettore della Germania e delle Fiandre per il Sacro Collegio Cardinalizio. Il cardinale, inoltre, intervenne personalmente per prolungare la permanenza di Rubens a Roma intercedendo per lui presso il duca di Mantova Vincenzo Gonzaga, protettore dell’artista (si veda C. Ruelens, Correspondance de Rubens et documents épistolaires concernant sa vie et ses ouvres, I, 1600-1608, Anvers 1887, p. 380).
L’episodio rappresentato nel dipinto è tratto dall’Antico Testamento (Libro di Daniele 13, 19-23) e vede protagonista la moglie del ricco ebreo Ioakim, Susanna, la quale viene sorpresa da due vecchioni mentre è intenta a farsi il bagno nel giardino della propria casa. Gli uomini minacciano la giovane di una falsa accusa di adulterio se non si fosse concessa a loro carnalmente, ma lei, ferma nella sua castità, li rifiuta e si ritrova in tribunale a difendersi dalla calunnia. Ingiustamente condannata a morte, Susanna riesce a scampare al pericolo grazie al profeta Daniele, dietro cui si celava l’intervento divino, divenendo così simbolo non solo della virtù femminile ma anche della salvazione dell’anima per mezzo della Provvidenza.
Nel dipinto Borghese, Rubens non segue la disposizione delle figure tipica dell’iconografia tradizionale fiamminga, con Susanna in mezzo ai vecchioni, ma quella diffusa nelle rappresentazioni cinquecentesche italiane, in cui la giovane è rivolta in direzione opposta rispetto a quella dei suoi aggressori, elemento che sottolinea il contrasto etico tra i protagonisti della scena (D’Hulst, Vandenven 1989, pp. 200-202; Paolini 2016, p. 214). In quest’ambito, anche la monumentalità del nudo femminile risente evidentemente delle rappresentazioni di stesso soggetto elaborate da artisti quali Veronese e Tintoretto (Scarpa 2007, p. 134)
L’effetto luministico della composizione, che tende ad esaltare il corpo nudo di Susanna, è interpretato da D’Hulst (cit.) come una ripresa di soluzioni caravaggesche, mentre Paolini (cit.) vi riconosce piuttosto un retaggio leonardesco, con l’alternanza di un fascio luminoso in primo piano, un intermezzo quasi completamente buio e un piano di fondo caratterizzato da un lieve bagliore.
La critica ha individuato nella posa di Susanna una derivazione dalla celebre statua dello Spinario (Roma, Musei Capitolini), che Rubens studiò in un disegno oggi conservato al British Museum di Londra (Müller Hofstede, 1977, pp. 140-141; Guarino 1990, p. 29; Rubens 1990, p. 88; Brown 2001, p. 289; Paolini, cit.); rispetto al modello, la figura femminile presenta un maggior dinamismo anche grazie alla torsione data dalla variazione della testa, rivolta all’indietro verso i vecchioni (Jaffé 2005, pp. 78-79; Paolini cit.). La stessa impostazione della Susanna nel quadro Borghese viene ripresa dall’artista in un’altra versione dello stesso soggetto firmata e datata 1614, segnalata da Della Pergola (cit.) presso il Nationalmusuem di Stoccolma. La gestualità e l’energica torsione della protagonista femminile costituirono una fonte d’ispirazione per Gian Lorenzo Bernini nell’elaborazione della figura di Proserpina trascinata forzatamente nell’Ade da Plutone (Jaffé 1989, p. 161; Scarpa cit.; Paolini, cit.). Il noto gruppo scultoreo, commissionato dal cardinale Scipione, venne eseguito dall’artista nei primi anni Venti del Seicento ed è tuttora conservato in Galleria (inv. CCLXVIII).
Il dipinto Borghese, già ricondotto al primo soggiorno a Roma di Rubens (Müller Hofstede cit.; D’Hulste, Vandenven cit.), è oggi ritenuto più convincentemente riferibile agli anni 1606-1607, in corrispondenza della seconda permanenza dell’artista nell’Urbe, periodo a cui le soluzioni compositive del dipinto si adattano maggiormente (Jaffé 1989, cit.; Guarino cit.; Rubens cit.; Scarpa cit.; Paolini, cit.).
Dell’opera si conosce un’incisione di Paulus Pontius datata 1624.
Pier Ludovico Puddu