Con buona probabilità, questa tela fu acquistata da Scipione Borghese direttamente da Guido Reni, artista amato dal cardinale che usò ogni mezzo, lecito e illecito, per assicurarsene la collaborazione.
In questo dipinto della fase matura, Mosè è ritratto nel momento in cui, sceso dal monte, vede il suo popolo in adorazione del vitello d’oro e irato sta scagliando le tavole della Legge. La sua bocca è aperta in un gesto di rabbia, sentimento sottolineato da un cielo carico di nuvole e dal forte contrasto di luci e di ombre.
Roma, collezione Borghese, ante 1657 (Scannelli 1657, p. 354); Inventario 1693, Stanza III, n. 20; Inventario 1790, Stanza III, n. 4; Inventario Fidecommissario 1833, p. 16. Acquisto dello Stato, 1902.
Con buona probabilità, questa tela fu acquistata dal cardinale Scipione Borghese direttamente da Guido Reni che dovette eseguirla prima del 1620 oppure, secondo Stephen Pepper (1988, p. 254, n. 83) tra il 1624-1625, contemporaneamente al San Girolamo in preghiera (Londra, The National Gallery) con cui il profeta Borghese condivide lo stesso volto. Di recente, riscontrando precisi rimandi con la serie di dipinti raffiguranti il mitico Ercole, eseguiti da Reni per il duca di Mantova (ora al Museo del Louvre), Massimo Francucci (2021) ha proposto una datazione al 1621. Secondo lo studioso, infatti, le tele francesi - in particolare l'Ercole sulla pira (1617) e l'Ercole e l'Idra (1620) - mostrerebbero la medesima ricerca di gestualità eloquente del dipinto Borghese.
Purtroppo, null'altro si sa di quest'opera se non che nel 1657 Francesco Scannelli la elencò tra le opere della raccolta Borghese (Scannelli 1657, p. 354), descritta debitamente nel 1693 presso Palazzo Borghese a Ripetta come opera di Guido Reni. Tale attribuzione cambiò nel giro di pochi anni: nel corso del XVIII secolo, infatti, il dipinto fu erroneamente riconosciuto come autografo di Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino, paternità corretta in favore di Guido, vicino 'alla maniera del Guercino', dall'estensore dell'Inventario Fidecommissario del 1833 e così segnalata nelle note di Giovanni Piancastelli, primo direttore della Galleria Borghese di Roma.
Il dipinto raffigura il profeta Mosè con le Tavole della Legge nell'atto di scagliarle sul popolo di Israele che, secondo la Bibbia, fu trovato ai piedi del Monte Sinai in adorazione di un vitello d'oro. Reni ritrae il protagonista con un pesante mantello che conferisce all'insieme magnificenza e pathos, il cui colore tinge di rosso la bocca del protagonista, spalancata in un gesto d'ira. Il cielo plumbeo e il primissimo piano adottato aggiungono alla tela quella drammaticità nobilmente barocca, ma al tempo stesso composta e decorosa, tipica del catalogo del pittore.
Una tela con la Testa di Mosè, desunta dal dipinto Borghese, si conserva nei depositi della Galleria Nazionale di Varsavia mentre un dipinto con soggetto analogo, sempre di Reni, fu acquistato da Carlo I e venduto nel 1649 (Levey 1964, p. 91). Una replica leggermente variata - ricordata da Carlo Cesare Malvasia e attualmente conservata presso la sede del Gruppo Credem di Reggio Emilia - fu eseguita probabilmente da Reni per Urbano VIII verso il 1620-1625, segnalata negli inventari di Palazzo Barberini ai Giubbonari nel 1671 (Pepper 1988, pp. 257-258, n. 91).
Antonio Iommelli