Il dipinto, realizzato da Giovan Battista Viola nel 1613, è uno dei tanti esempi di pittura di paesaggio con rimandi narrativi. Il paesaggio, delineato con bei colori contrastanti - dominati dall’azzurro - è il protagonista principale e unico del quadro, che ingloba i personaggi, intenti ad ammirare una cittadella, nascosta dietro un alto promontorio, circondato dalle acque di un fiume.
Salvator Rosa, 87 x 111 x 8 cm
Roma, collezione Scipione Borghese, 1613 (Della Pergola 1955, p. 49, n. 79); Inventario 1693, Stanza II, n. 49; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 24. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto è citato a partire dall'inventario del 1693 come opera di Giovan Battista Viola ("un quadro di 4 palmi con un Paese con figurine e Diversi paesi et lontananze del n. 708 cornice dorata del Viola"), paternità ribadita sia nell'Inventario Fidecommissario del 1833, sia da Giovanni Piancastelli che nel 1891 accettò l'attribuzione tradizionale, supportata - tra gli altri - da Xavier Barbier de Montault (1870) e Roberto Longhi (1928). Quest'ultimo, però, non riconoscendo appieno l'autografia di Viola, parlò di maniera di Giovan Francesco Grimaldi, scartando al contempo il nome di Agostino Tassi, fatto da Adolfo Venturi nel 1893.
Come debitamente ipotizzato da Paola della Pergola (1955), che però avvicinò l'opera a un seguace del Grimaldi, la tela può essere riconosciuta con uno dei due 'Paesi' commissionati a Viola nel 1613 da Scipione Borghese, parere accolto favorevolmente dalla critica, che ha assegnato definitivamente il dipinto al catalogo del bolognese (per un parere diverso si veda Sambo 2001). Secondo Clovis Whitfield (1996), questo Paesaggio e il relativo pagamento - reso noto da Della Pergola - restano due dei dati più fermi nella cronologia di questo artista, giunto a Roma nel 1601 in compagnia di Francesco Albani, col quale è documentato nel 1610 nel cantiere di palazzo Giustiniani di Bassano di Sutri. Secondo lo studioso, inoltre, questo quadro risente fortemente dei modelli di Domenichino, con cui Viola collaborò in diverse occasioni, senza però che lo Zampieri vi mettesse mano, risultando quindi un'opera autonoma.
Questo quadro mostra appieno le conquiste di Viola, qui riprodotte in maniera fresca e con una certa eleganza, prestando attenzione alle proporzioni tra personaggi e paesaggi e alle regole prospettiche. I colori freddi e la composizione stratificata per bande parallele presentano di fatto una certa coerenza con i suoi tipici paesaggi con figure piccole, come il Paesaggio con giocatori di dadi di Fontainebleau (Spear 1980, fig. 18), privi - secondo la critica - del "gran studio e ostinata chiarezza" di Domenichino. Questa scarsa inclinazione allo studio emerge tra l'altro anche dalle parole di Giovanni Baglione (1642, p. 173) che nel cameo biografico dedicato a Viola, parlando del ruolo di guardarobiere per il cardinale Ludovico Ludovisi, affermò: "ammalossi, e per la troppa fatica, non essendo avvezzo a quel negotio, il quale seco gran travaglio portava". Secondo il biografo, infatti, l'artista morì per lo sforzo che tale incarico comportava.
Antonio Iommelli