Il dipinto potrebbe essere identificato con uno dei dipinti di "uccelli e pesci" che Scipione Borghese paga a Tommaso Campana nel 1619. Sia per il soggetto sia per lo stile, che sembra lontano dalla pittura fiamminga dell'epoca, il nome del pittore bolognese appare molto probabile, sebbene di recente la tela sia stata avvicinata ad Antonio Cinatti, pittore poco noto, attivo tra Frascati e Roma negli anni del pontificato borghesiano.
Al passo con la cultura scientifica romana dell’epoca, l'opera ritrae vari tipi di uccelli, tra i quali si riconoscono due oche, che starnazzano in uno stagno dove nuotano alcune anatre, pettirossi, piccioni e cardellini. A sinistra, su una sorta di altura, spunta una lepre.
(?) Roma, collezione Scipione Borghese, 1619 (Della Pergola 1959); Roma, collezione Borghese, 1833 (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 24, n. 17). Acquisto dello Stato, 1902.
In esposizione temporanea alla Galleria Nazionale d'Arte Antica per la mostra "Raffaello, Tiziano, Rubens. Capolavori dalla Galleria Borghese a Palazzo Barberini"
Descritta nel 1891 da Giovanni Piancastelli come opera fiamminga, questa tela fu attribuita da Adolfo Venturi (1893) al pittore romano Arcangelo Resani, nome scartato sia da Roberto Longhi (1928), sia da Paola della Pergola (1959) che dal canto suo assegnò il dipinto a Tommaso Campana. La studiosa, infatti, interpretando alcuni documenti dichiarò che l'opera, eseguita da Campana nel 1619, fosse stata da questi venduta a Scipione Borghese che poco prima aveva commissionato all'artista diversi quadri con uccelli e pesci per la propria villa di Mondragone. Tra l'altro, la provenienza della tela dalla tenuta tuscolana confermava l'assenza dell'opera nei vari inventari della collezione, dove in effetti compare solo a partire dal 1833.
Tale attribuzione, calzante in tutti i suoi aspetti, trovava inoltre riscontro con alcuni pagamenti fatti al falegname Annibale Durante, pagato nel 1619 "per tre cornici Indorate a oro brunito con Imprese e fogliami umbreggiati di chiaroscuro d'oro", realizzate per il "quadro della Madonna del Veronese l'altra nel quadro del Paese dove sonno l'animali vivi et l'altra dove sonno l'uccelli diversi morti" (Della Pergola, cit.). Ma, come tenne a sottolineare la studiosa, l'assegnazione del dipinto al catalogo del pittore restava pur sempre un'ipotesi, poiché la mancanza di opere certe del Campana non poteva confermare tale proposta.
Nel 1989, nell'ambito degli studi sulla natura morta italiana, Anna Colombi Ferretti ha confermato l'attribuzione al Campana, rilevando come alcune caratteristiche dell'opera - tra cui la fattura degli animali e l'andamento della composizione - non contraddicono "né una formazione del pittore avvenuta in Emilia - dove non sembra impossibile una qualche analogia anticipatrice con i modi di Paolo Antonio Barbieri - nè a un inserimento in ambiente romano".
Tali autorevoli pareri però non hanno convinto Kristina Herrmann Fiore che nel 2006 ha pubblicato la natura morta con il riferimento ad Antonio Cinatti, pittore fiorentino, attivo tra Firenze e Roma nella prima metà del Seicento. Poco si conosce di questo artista specializzato in soggetti naturalistici che, secondo Filippo Baldinucci, collaborò con l'architetto e pittore Giovanni Caccini alla decorazione della cappella Pucci nella Santissima Annunziata a Firenze. Giunto a Roma, si legò artisticamente all'ambiente di Agostino Tassi e Orazio Gentileschi, con i quali cooperò nei diversi cantieri, finendo coinvolto - tra l'altro - nel processo aperto da Artemisia Gentileschi contro il Tassi (cfr. Solinas 2000). Nel 1609-1610, insieme a Valerio Orsini, il Cinatti affrescò le stanze della rocca di Frascati, usata da Scipione Borghese per ospitare i suoi numerosi ospiti, nonché alcuni ambienti tra il Vaticano e la residenza Borghese di Monte Cavallo (Corbo-Pomponi 1995), periodo in cui secondo la Herrmann Fiore il pittore eseguì la tela.
Antonio Iommelli