L’opera è tradizionalmente riferita alla scuola di Jan Brueghel il vecchio ma, in tempi recenti, è stata accostata anche al nome di Sinibaldo Scorza, pittore di formazione genovese. Il dipinto è incentrato sul mito di Orfeo, che con la sua musica riusciva ad ammansire le fiere, tema caro alla pittura fiamminga per la possibilità di rappresentare una grande varietà di animali e piante. Il soggetto vide una diffusione anche in Italia tra i collezionisti di inizio Seicento, soprattutto tra coloro che coltivavano l’interesse della musica.
Salvator Rosa cm. 86 x 98 x 7
Collezione Borghese, Inventario 1790, Stanza II, n. 40; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 28, n. 44. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto, incentrato sul mito di Orfeo, è confluito nella raccolta Borghese in circostanze tuttora ignote. Il primo riferimento all’opera potrebbe essere quello nell’inventario del 1790, dove è elencato un “Orfeo, Paolo Brilli”. La stessa descrizione, con l’aggiunta delle misure di “palmi 2 1/7” di altezza e “palmi 3, oncie 1” di larghezza, compare successivamente nell’elenco fidecommissario del 1833. L’attribuzione dell’opera a Paul Bril è ripresa da Piancastelli (1891, p. 388), mentre Venturi (1893, p. 145) avanza per primo il nome di Jan Brueghel il Vecchio, seguito da Longhi (1928, p. 201), che vi aderisce solo parzialmente definendo l’opera di scuola, e Van Puyvelde (1950, p. 182). Quest’ultimo colloca l’esecuzione del dipinto durante la permanenza in Italia dell’artista, all’indomani della sua assimilazione delle formule brilliane.
Della Pergola riconduce l’Orfeo alla scuola di Brueghel, ed è così che l’opera viene esposta nel 1996-’97 a Lecce (cfr. Trinchieri Camiz 1996, pp. 112-113) e poi ancora nel 1998 a Bruxelles (cfr. Welzel 1998, pp. 138-139). In quest’ultima occasione il quadro viene descritto come una copia di qualità da un originale perduto del maestro, eseguita nell’ambito della sua cerchia.
Nell’Allegoria dell’udito di Brueghel e Rubens (Madrid, Museo Nacional del Prado), uno dei cosiddetti “quadri nel quadro”, compare un riferimento visivo al soggetto di Orfeo, di cui non rimane traccia nella produzione nota dell’artista. Ad esso sono tuttavia stati collegati una serie di quadretti del medesimo genere, oggi conservati in diversi musei del mondo: oltre al dipinto Borghese, si ricordano quelli del Ringling Museum di Sarasota e del Museum and Art Gallery di Ipswich (Della Pergola cit.; Trinchieri Camiz cit.). Queste composizioni sono tutte assimilabili nel loro insieme, ma presentano delle variazioni nella scelta dello strumento musicale in mano ad Orfeo e in quella delle specie animali, che spaziano dal domestico al selvatico, dal locale all’esotico, finanche al fantastico. Nell’esemplare Borghese, per esempio, salta all’occhio la presenza di un unicorno bianco sulla sinistra della composizione, e Orfeo è raffigurato nell’atto di suonare una viola, strumento più moderno che dalla metà del Quattrocento aveva cominciato a sostituire frequentemente la più tradizionale lira (Trinchieri Camiz cit.).
Il soggetto del dipinto è tratto dalla storia di Orfeo e rappresenta in particolare il momento successivo alla perdita della sposa Euridice, quando il protagonista si dedica tristemente al canto accompagnato dal suo strumento, il cui suono riusciva straordinariamente ad ammansire le fiere.
Il tema rientra in maniera esemplare nella tradizione pittorica fiamminga, dedita alle rappresentazioni della natura particolarmente dettagliate in cui far confluire una grande varietà di specie vegetali e animali. In Italia, il genere godette di particolare apprezzamento tra i collezionisti di inizio Seicento, anche a seguito del soggiorno di Brueghel a Milano e a Roma tra il 1594 e il 1596. In tale ambito, il mito di Orfeo esercitava un fascino del tutto peculiare proprio per il richiamo al potere magico della musica, che molti collezionisti coltivavano come interesse (Trinchieri Camiz cit.; Welzel 1998, pp. 138-139).
Una diversa proposta attributiva dell’Orfeo Borghese risale al 2006, quando Kristina Herrmann Fiore (p. 93) accosta il dipinto all’opera di Sinibaldo Scorza, pittore di formazione genovese attivo nei primi decenni del Seicento. L’artista guardò molto alla pittura fiamminga e affrontò più volte il soggetto, noto in numerose versioni.
Pier Ludovico Puddu