Questo commesso, insieme al suo pendant raffigurante La Terra Promessa (inv. 494), è segnalato nel 1650 da Iacomo Manilli presso una delle tante sale del casino di Porta Pinciana. Eseguito con buona probabilità nei primi anni del XVII secolo nella bottega di Cosimo e Giovanni Castrucci, rappresenta un paesaggio montano con diverse costruzioni e un ponte, sotto al quale scorre un corso d'acqua. Sulla sinistra, in primo piano, va invece in scena il sacrificio di Isacco: la composizione, infatti, illustra il momento in cui Abramo, in atto di sacrificare il suo unico figlio, viene fermato da un angelo inviatogli da Dio.
Cornice seicentesca con bronzo dorato (cm 35,6 x 46,4 x 6,5)
Roma, collezione Borghese, 1633 ca. (Iommelli 2022); Manilli 1650, pp. 112-114; Inventario 1693, Stanza XI, nn. 34, 43, 92; Inventario 1790, Stanza VII, nn. 87, 90; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, pp. 29-30. Acquisto dello Stato, 1902.
Nell'angolo inferiore destro '132'.
La provenienza e la data di ingresso di questo commesso nella raccolta Borghese sono ancora incerte. Secondo Paola della Pergola (Ead. 1959), fu acquistato nel 1634, insieme ad altri manufatti (inv. nn. 491, 493, 494, 505, 522), dal principe Marcantonio Borghese che, per il tramite del suo guardarobiere Domenico Baroncino, entrò in possesso di un numero imprecisato di composizioni con "pietre fini". Tale pista, percorsa senza riserve dalla critica (C. Stefani, in Moreno Stefani 2000; Herrmann Fiore 2006), si rileva però alquanto impraticabile poiché i documenti citati dalla studiosa, che registrano senz’alcun dubbio l’interesse dei Borghese per questo genere di opere, sono discutibilmente avvicinabili ai quadretti in esame, mancando di una qualsiasi descrizione. Inoltre, come giustamente osservato da Sara Staccioli (in Opere in mosaico 1971), già nel 1612 Scipione Borghese si interessava di "certi fiori di pietre dure", giudicati "cose rare" da Pietro Strozzi e da questi segnalati in una missiva al potente e ricco porporato. Tale testimonianza, unita alla descrizione della formella in un documento pubblicato da Sandro Corradini, databile verosimilmente entro il 1633 (Corradini 1998; Pierguidi 2014), lascia dunque ipotizzare il suo ingresso nella raccolta borghesiana al tempo del cardinal nipote, facendo di conseguenza cadere le ipotesi finora sostenute
La prima fonte a stampa a segnalare debitamente il quadretto presso la collezione Borghese è quella pubblicata nel 1650 da Iacomo Manilli. Tra i molti beni da lui ammirati nel casino pinciano emergono due opere "[...] di gioie commesse di più sorti detti comunemente Musaici di Firenze, dove si vedono in uno due esploratori della Terra di Promissione; e nell’altro il sagrificio d’Abramo" (ivi), quest'ultima identificabile senza alcun dubbio con il dipinto in esame, rimasto tra le proprietà dei Borghese fino al 1902 quando, insieme alla villa e ai suoi arredi, fu ceduta allo Stato italiano.
Con altre due composizioni, sempre di collezione Borghese (Paesaggio con la Maddalena penitente, inv. 491; Paesaggio con la Madonna come lavandaia, inv. 493), sono stati oggetto di una mostra allestita negli anni Settanta presso la Galleria Borghese. La curatrice Sara Staccioli, che per la tipologia dei materiali impiegati divise debitamente le quattro opere in due gruppi, avvicinò per la prima volta questi lavori alla bottega di Cosimo e Giovanni Castrucci, artisti fiorentini attivi alla corte di Rodolfo II di Praga a partire dal 1596 (S. Staccioli, in Opere in mosaico 1971). Secondo la studiosa, infatti, i commessi Borghese citerebbero alla lettera alcune composizioni realizzate dai due maestri toscani tra Firenze e Praga, rilevando una certa somiglianza, nel caso specifico del Paesaggio con due vendemmiatori, con un paliotto conservato presso la chiesa fiorentina di San Lorenzo. Tale pista, abbandonata dalla critica (C. Stefani, in Moreno, Stefani 2000, p. 206; Herrmann Fiore 2006, pp. 157-158), è stata ripercorsa da chi scrive (Iommelli 2022): alcuni caratteri stilistici, come la cura di piccoli dettagli che sfuggono a una studiata visione d’insieme, l’alternanza di pietre chiare e scure nel creare effetti prospettici, la disposizione degli alberi dalle curiose fronde arricciate a formare quinte sceniche, riconducono all’atelier Castrucci, con buona probabilità al primo quarto del XVII secolo, quando furono prodotti manufatti caratterizzati da una salda e ricercata volumetria, sfruttando sapientemente le varietà cromatiche delle pietre.
Purtroppo, al momento nulla si conosce sui tempi e le modalità con cui i Borghese entrarono in possesso di questo quadretto. Tuttavia, la presenza di pietre per lo più impiegate nelle officine fiorentine spinge a immaginarne la sua esecuzione a Firenze o a Roma, dove non è errato ipotizzare la presenza di una succursale dell'atelier boemo, frequentata dai due maestri nei loro continui viaggi tra la Toscana e Praga. Tra l’altro, proprio nell’Urbe, tra la fine del XVI e i primi decenni del XVII secolo, è attestato Giovanni Battista Castrucci, padre di Francesco e Silvestro, orefici di origini fiorentine (Bulgari 1958), sicuramente imparentati con i maestri toscani.
La presenza, infine, di due formelle conservate a Vienna - Paesaggio con la Maddalena penitente e Paesaggio con l'obelisco (Kunsthistorisches Museum, invv. 3006, 3397; Neumann 1957), analoghe per soggetto e tecnica alle altre due composizioni Borghese, lascia supporre l'uso di medesimi cartoni, giunti nei laboratori medicei parallelamente all'arrivo di pietre boeme (ibidem). Alcuni dettagli del Paesaggio con la Madonna come lavandaia ritornano ad esempio nel Paesaggio con l'obelisco viennese, mentre identica risulta la costruzione della scena nel caso dei due quadretti raffiguranti Maria Maddalena. Se si tiene conto, invece, dell'ipotesi della loro esecuzione a Praga (S. Staccioli, in Opere in mosaico 1971), non è errato immaginare il loro invio ai Borghese in qualità di dono, giunti verosimilmente nell'Urbe per il tramite di Antonio Tempesta, artista fiorentino in rapporto già da tempo con Scipione e Rodolfo II di Praga (Prag um 1600 1988), oppure per interessamento di Pietro Strozzi o del cardinale Francesco Maria del Monte, quest'ultimo consigliere di Ferdinando de' Medici e di Paolo V, per i quali procacciava pietre e marmi preziosi per la decorazione del mausoleo dei Principi a San Lorenzo a Firenze e per la cappella Paolina a Santa Maria Maggiore a Roma.
Antonio Iommelli