Questo dipinto è stato attribuito dalla critica a Hermann van Swanevelt, pittore olandese in contatto con Claude Lorrain e Pieter van Laer, con i quali contribuì a diffondere il genere del paesaggio classico italiano. L'opera rappresenta una coppia di figure, ritratte al centro della tela dominata da imponenti rovine romane, una soluzione compositiva tipica dell'artista che usava collocare i personaggi dei suoi dipinti al centro della scena, chiusa da una parte da una folta vegetazione o da edifici classici ma aperta dall'altra su un paesaggio in lontananza.
Salvator Rosa (cm 9 x 36,7 x 4).
Questo dipinto è documentato nella raccolta Borghese a partire dal 1833, segnalato negli elenchi fedecommissari come opera di autore ignoto. Nel 1893 Adolfo Venturi avvicinò l'opera al pittore olandese Hermann van Swanevelt, attribuzione accolta positivamente - tra gli altri - da Giulio Cantalamessa (1912) e da Roberto Longhi (1928), ma rivista da Paola della Pergola che, a causa del mediocre stato di conservazione in cui versava il quadro, preferì cautamente parlare di maniera di Swanevelt.
L'opera presenta alcune caratteristiche tipiche della produzione del pittore degli anni Trenta, come la costruzione della scena lungo una diagonale che qui, partendo da destra, viene interrotta dalla chioma dell'albero al centro della composizione; schema riprodotto nel coevo Paesaggio con i viaggiatori (Roma, Galleria Doria Pamphilj) eseguito dal pittore intorno al 1633-1635 (Russell 2019). Il dipinto, inoltre, riflette gli studi condotti da Swanevelt nella campagna romana, dove in solitudine l'Eremita - così era stato soprannominato dai suoi colleghi - andava alla ricerca di angoli ameni e di rovine classiche da ritrarre.
Antonio Iommelli