Il dipinto è stato avvicinato dalla critica all'attività romana di Hermann van Swanevelt, pittore olandese in contatto con Claude Lorrain e Pieter van Laer, con i quali contribuì a diffondere il genere del paesaggio classico italiano. L'opera rappresenta un uomo, seduto in groppa al suo asino, mentre ascolta le parole di un pastore, alle cui spalle si erge un edificio in rovina. La scena è ambientata in un paesaggio ameno, caratterizzato da una folta vegetazione che sulla sinistra lascia intravedere alcune colline in lontananza.
Cornice ottocentesca (parte di un polittico), cm 81 x 26 x 4,3.
Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza XI, n. 21; Della Pegola 1959); Inventario 1790, Stanza VII, n. 123; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 31. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto è documentato in collezione Borghese a partire dal 1693, elencato nell'inventario di quell'anno come "un quadro in tavola sopra un Asino et una anticaglia del n. 155. Incerto", attribuzione rivista nel 1790 a favore di Ludovico Mattioli. Tale nome, scartato sia dall'estensore degli elenchi fedecommissari (1833) sia da Giovanni Piancastelli (1893), fu mutato da Adolfo Venturi con quello di Hermann van Swanevelt, parere accolto positivamente da Roberto Longhi (1928) e da Paola della Pergola che nel 1959 pubblicò il dipinto come "maniera di Swanevelt".
Questa tavola rientra nella tipica produzione di paesaggi raffiguranti pastori e viandanti immersi nella campagna romana, un genere molto richiesto a Roma sia dal mercato, sia dagli aristocratici e ricchi borghesi. Tra gli artisti più quotati vi fu Hermann van Swanevelt, pittore olandese giunto a Roma sul finire degli anni Venti, dove riscosse molto successo. L'artista, infatti, soprannominato l'Eremita, era solito raffigurare questi tipi di scene, ispirate dai suoi studi condotti all'area aperta mentre da solo girovagava per il suburbio romano alla ricerca di rovine e luoghi ameni da ritrarre.
Antonio Iommelli