Il dipinto rappresenta un paesaggio con San Gerolamo in meditazione, accompagnato dai tipici attributi iconografici del leone e del teschio. La composizione è caratterizzata da forti contrasti chiaroscurali secondo una tendenza che caratterizza diversi paesaggi di Paul Bril.
La sua attribuzione oscilla tra l’ambito di quest’ultimo e Frederick van Valckenborch, pittore di Anversa poco più giovane e influenzato in maniera diretta dall’opera del maestro.
È stato ipotizzato che il quadro possa provenire dal gruppo di opere confiscate al Cavalier D’Arpino (Giuseppe Cesari) nel 1607 e confluite poi nella collezione del cardinale Scipione Borghese, ma non c’è sicurezza riguardo a questo dato.
L’opera è databile tra la fine degli anni Novanta del Cinquecento e l’inizio del secolo successivo.
Salvator Rosa, cm. 90,5 x 114 x 6
Roma, Giuseppe Cesari detto Cavalier d’Arpino, ante 1607, n. 61 (?); Collezione Scipione Borghese, 1607 (?); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 15, n. 7. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto potrebbe essere riconosciuto tra quelli elencati nell’inventario del sequestro ai danni di Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino, dove al n. 61 figura “un quadro mezzano di paese con S. Gironimo et un leone appresso senza cornice”. Il pittore, accusato di detenzione illegale di armi, subì la requisizione della sua intera raccolta di quadri nel 1607 per ordine di Paolo V il quale, una volta impossessatosi dei dipinti ne fece dono al cardinal nepote Scipione Borghese.
La mancanza di attribuzioni nell’elenco del sequestro non permette tuttavia di identificare con assoluta certezza il Paesaggio con San Gerolamo con il dipinto sopra citato.
La prima menzione certa del quadro si rintraccia nell’inventario fidecommisario del 1833, dove viene descritto come “Paesaggio di Francesco Viola”, e lo stesso riferimento al pittore bolognese si ritrova anche nel Catalogo dei quadri della Galleria Borghese di Giovanni Piancastelli (1891, p. 194).
Sulla scorta di Barbier de Montault (1870, p. 363), che per primo lo aveva riferito a Paul Bril, Adolfo Venturi (1893, p. 36) e Roberto Longhi (1928, p. 177) lo riconducono alla scuola del maestro fiammingo. Più cautamente, Paola Della Pergola (1959, p. 154, n. 219), non convinta della possibilità che l’autore sia così vicino a Bril da doversi rintracciare nella sua bottega, si limita a definire il dipinto alla “maniera di”.
Negli anni Novanta Teréz Gerszi (1990, p. 181) propone di ricondurre il Paesaggio con San Gerolamo alla mano di Frederick van Valckenborch, pittore di Anversa attivo tra la seconda metà del Cinquecento e i primi anni del secolo successivo. L’ipotesi viene ripresa da Maria Rosaria Nappi (1995, pp. 379-380) ed è con tale attribuzione che il quadro viene esposto alla mostra Fiamminghi a Roma 1508-1608 tenutasi tra Bruxelles e Roma nel 1995.
Da lì in poi l’attribuzione del dipinto rimane oscillante tra i due pittori fiamminghi, anche se la possibile autografia di Paul Bril, come si è visto, è stata da tempo ridimensionata alla sua scuola. La più recente disamina sul quadro si deve a Francesca Cappelletti (2000, p. 197, n. 22) in occasione della mostra Caravaggio. La luce nella pittura lombarda (Bergamo, Accademia Carrara, 2000), dove il dipinto è stato esposto insieme ad un numero cospicuo di opere provenienti dalla collezione Borghese. La studiosa riferisce il Paesaggio con San Gerolamo all’ambito di Bril, o meglio a quella cultura fiamminga italianizzata di cui Bril è uno degli esponenti e che tocca anche la stessa bottega del Cavalier d’Arpino, aperta agli artisti nordici e da cui la tela potrebbe provenire. Del contesto culturale di riferimento ci parla da una parte la composizione stessa dell’opera, vicina all’esempio di Bril, e dall’altra la resa del santo, che rivela una conoscenza dei modelli della tarda maniera italiana.
Il dipinto risponde esemplarmente a quel gusto per il paesaggio animato da figure di santi o eremiti diffuso soprattutto tra gli artisti nordici già prima della metà del Cinquecento, ma che aveva visto una particolare rivitalizzazione nella seconda parte del secolo, anche grazie alle incisioni dei paesaggi con santi eremiti di Girolamo Muziano realizzate negli anni Settanta da Cornelius Cort, che ebbero grande fortuna (per un approfondimento F. Cappelletti, Paul Bril e la pittura di paesaggio a Roma 1580-1630, Roma 2006, cap. VI).
La figura di San Gerolamo si prestava a questo genere di rappresentazioni, tanto più che il santo godeva proprio in quegli anni di particolare risalto da parte della Chiesa. Lo stesso soggetto, un Paesaggio con San Gerolamo, è trattato anche nel primo olio su rame conosciuto di Bril, firmato e datato 1592 (già Londra, collezione Morris). Il confronto tra i due dipinti, richiamato sempre da Cappelletti (2000, cit.), evidenzia l’analoga partizione della scena, con il santo raffigurato in primo piano sulla sinistra, immerso in un contesto roccioso e ombroso, e il paesaggio che si sviluppa in profondità nella parte destra, dove invece domina una luminosità diffusa. Per la studiosa, nel quadro qui esaminato la resa della vegetazione che spiove dall’alto rivela la conoscenza di Jan Brueghel da parte dell’autore.
Secondo Nappi (1995, cit.), il contrasto tra il primo piano e lo sfondo del dipinto Borghese ricorda alcune opere della giovinezza di Jan Brueghel, ma anche, da un punto di vista prevalentemente luministico-cromatico, i paesaggi di Ludovico Pozzoserrato (Lodewijk Toeput), pittore fiammingo naturalizzato italiano e attivo in Veneto nella seconda metà del Cinquecento. Come sostenitrice della paternità dell’opera a van Valckenborch, la studiosa ipotizza che l’artista possa avere incontrato Pozzoserrato proprio nelle zone in cui quest’ultimo si era trasferito.
L’opera si lega ad un cospicuo nucleo di dipinti dedicati al genere del paesaggio con figure, prevalentemente ascritti all’ambito di Paul Bril, presente nella collezione Borghese fin dai tempi della sua costituzione, che rappresenta una testimonianza importante dei gusti collezionistici del cardinale Scipione.
Pier Ludovico Puddu