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Paesaggio con una lavandaia

Bottega di Castrucci Cosimo e Giovanni


Questo commesso, composto da diverse tipologie di diaspro - di Boemia, di Alsazia e di Siberia - è attestato in collezione Borghese a partire dal 1693, eseguito con buona probabilità intorno al primo decennio del XVII secolo nella bottega di Cosimo e Giovanni Castrucci. Rappresenta un paesaggio collinare, caratterizzato da un fiume con un uomo in barca, dominato da un lungo ponticello. In primo piano, al centro della composizione, è ritratta una donna intenta a lavare dei panni, identificata negli antichi inventari con la vergine Maria.


Scheda tecnica

Inventario
493
Posizione
Datazione
primo quarto del XVII secolo
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
Commesso in pietre dure (diaspro di Boemia, di Alsazia, di Siberia)
Misure
cm 23 x 31
Cornice

Cornice seicentesca con bronzo dorato e piano di vetro dipinto a finta ametista (cm 35,1 x 46 x 5)

Provenienza

Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza XI, nn. 34, 43, 92); Inventario 1790, Stanza VII, nn. 87, 90; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, pp. 29-30. Acquisto dello Stato, 1902.

Iscrizioni

Nell'angolo inferiore destro '132'.

Sul retro dell'opera "... nota 2a lett. B Camera del Gabinetto n. 70. Quadro di pietre dure con cornice di ametista lavoro di Firenze largo pal[m]i 1 alto palmi ...".

Mostre
  • 1972 Roma, Galleria Borghese

Scheda

La provenienza e la data di ingresso di questo commesso nella raccolta Borghese sono ancora incerte. Secondo Paola della Pergola (Ead. 1959), fu acquistato nel 1634 dal principe Marcantonio Borghese che, per il tramite del suo guardarobiere Domenico Baroncino, firmò diverse ricevute, entrando in possesso di un numero imprecisato di composizioni con 'pietre fini'. Tale ipotesi, accettata senza riserve dalla critica (Hermann Fiore 2006), si rileva però alquanto dubbia poiché i documenti citati dalla studiosa, che senz'alcun dubbio registrano l'interesse dei Borghese per questo genere di opere, sono discutibilmente avvicinabili al quadro in esame, mancando di una precisa e puntuale descrizione.

Tra l'altro, come giustamente osservato da Sara Staccioli (Ead. 1972), già nel 1612 Scipione Borghese si interessava di 'certi fiori di pietre dure', giudicati 'cose rare' da Pietro Strozzi e da questi segnalati in una missiva al potente e ricco porporato, testimonianza che di fatto lascia ipotizzare l'ingresso di questa tipologia di manufatti nella collezione pinciana già ai tempi dell'avido e curioso cardinal nepote.

Quale che sia l'ipotesi più giusta, è certo che questo Paesaggio entrò in casa Borghese prima del 1693, anno in cui risulta inventariato tra i beni conservati presso il palazzo romano di Ripetta col numero 132 - tuttora visibile nell'angolo inferiore destro - descritto come "[un quadro] di pietra commessi con Paesin[o] [...] con Gioseppe e la Madonna lavandaia" (Inv. 1693). Citato negli inventari successivi (Inv. 1790; Inventario Fidecommissario), viene infine omesso nel Manoscritto di Giovanni Piancastelli e trascurato in quanto ritenuto un'opera secondaria da Adolfo Venturi (1893).

Insieme al Paesaggio con Maria Maddalena penitente (inv. 491) e ad altri due commessi, sempre di collezione Borghese (inv. nn. 490, 494), il quadro è stato avvicinato alle opere praghesi della bottega di Cosimo e Giovanni Castrucci, artisti fiorentini attivi alla corte di Rodolfo II di Praga a partire dal 1596 (Staccioli 1972; Iommelli 2022). Secondo Sara Staccioli, che per la tipologia dei materiali adoperati divise debitamente i quattro commessi in due gruppi, il Paesaggio con la lavandaia richiama alla mente il Paesaggio con obelisco eseguito da Giovanni Castrucci, attualmente conservato nella collezione del Kunsthistorisches Museum di Vienna (inv. 3397). In effetti, tale confronto così stringente - analoga risulta la figura della donna alla fontana, nonché lo schema compositivo - permette dunque di assegnare il Paesaggio Borghese alla bottega di Cosimo e Giovanni Castrucci, realizzato verosimilmente a Praga e da lì inviato in dono ai Borghese; oppure a Firenze o a Roma, dove è possibile che i due artisti si siano recati in uno dei loro continui viaggi tra la Toscana e il Regno boemo. Tra l'altro, proprio nell'Urbe, sono presenti Giovanni Battista Castrucci e i suoi figli Francesco e Silvestro, orefici e maestri gioiellieri di origini fiorentine (cfr. Bulgari 1958), con buona probabilità imparentati con i due maestri toscani.

Antonio Iommelli




Bibliografia
  • I. Manilli, Villa Borghese fuori di Porta Pinciana, Roma 1650, pp. 112-114;
  • X. Barbier de Montault, Les Musées et Galeries de Rome, Rome 1870, p. 356;
  • A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, p. 217;
  • P. della Pergola, La Galleria Borghese. I Dipinti, II, Roma 1959, p. 33, n. 42;
  • P. della Pergola, L’Inventario Borghese del 1693 (III), in “Arte Antica e Moderna”, XXX, 1965, p. 20;
  • S. Staccioli, in Opere in mosaico, intarsi e pietra paesina, catalogo della mostra (Roma, Galleria Borghese, 1971), a cura di S. Staccioli, Roma 1971, pp. 16-21, n. 7;
  • C. Stefani in Galleria Borghese 2000, p. 206;
  • K. Herrmann Fiore, Galleria Borghese Roma scopre un tesoro. Dalla pinacoteca ai depositi un museo che non ha più segreti, San Giuliano Milanese 2006, p. 158;
  • A. Iommelli, 'Petrae volant, scripta manent': tracce di pietre in casa Borghese nel XVII secolo, in Meraviglie senza tempo. Pittura su pietra a Roma nel Seicento, catalogo della mostra (Roma, Galleria Borghese, 2022), a cura di F. Cappelletti, P. Cavazzini.