Il dipinto è uno dei numerosi ritratti dedicati ad Antonio Canova, eseguiti dagli artisti a lui vicini e testimonianza della sua grande fama. Il carattere informale e spontaneo di questa rappresentazione ne restituisce un’immagine di grande naturalezza, lontana da eccessi celebrativi, e testimonia il profondo rapporto di amicizia intercorso tra lo scultore e il pittore piacentino Gaspare Landi. Il quadro, firmato e datato 1806, è pervenuto nella raccolta Borghese come lascito del barone Otto Messinger nel 1919, insieme all’Autoritratto dello stesso Landi.
Il dipinto riporta il nome dell’autore, il soggetto, il luogo e la data di completamento nell’iscrizione in basso a sinistra: “Landi dipinse Canova in Roma l’anno 1806”. Gli stessi dati sono presenti nella parte inferiore dell’Autoritratto eseguito dallo stesso Landi e conservato anch’esso nella raccolta Borghese (inv. 558). La corrispondenza delle iscrizioni, le dimensioni identiche delle due tele e la specularità delle pose degli effigiati, voltati di tre quarti in direzioni opposte, lasciano pensare che i dipinti siano stati realizzati a pendant (Stefani 2000, pp. 353, 355).
Il quadro qui esaminato è uno dei numerosi ritratti dedicati ad Antonio Canova, eseguiti dagli artisti con cui il celebre scultore intrattenne rapporti di amicizia e di stima. Canova fu spesso rappresentato in veste celebrativa, con accanto gli strumenti del mestiere (come nel ritratto di G.B. Lampi, Vienna, Gemäldegalerie) o le sue opere più famose (per esempio da Angelica Kauffmann, collezione privata), e persino divinizzato nel ritratto scultoreo di Giovanni Ceccarini (Frascati, Palazzo Comunale), dove appare seminudo con un corpo atletico mentre osserva la testa antica del Giove di Otricoli. Il dipinto eseguito da Gaspare Landi è invece di tutt’altro tenore, testimonianza di un rapporto di amicizia sincera intercorso tra il pittore piacentino e lo scultore di Possagno. L’artista sceglie di rappresentare Canova in una sfera più umana, con un atteggiamento spontaneo e per nulla impostato, restituendone un’immagine assolutamente informale. La figura, rappresentata a mezzo busto, emerge da uno sfondo neutro e non vi sono elementi che ne richiamino il mestiere o l’operato; lo sguardo è rivolto verso lo spettatore e la bocca è socchiusa, espediente che accentua la naturalezza e la vitalità del volto. L’artista veste degli abiti consueti e non indossa la parrucca usata solitamente per nascondere la sua calvizie, con cui appare in diversi altri ritratti. Questo aspetto risulta particolarmente significativo, sia perché testimonia l’intenzione dell’autore di rappresentare l’uomo più che il celebre artista, sia come elemento rivelatore dello stretto rapporto che Canova intratteneva con Landi, a cui aveva affidato una rappresentazione così intima della sua persona.
Il pittore fu tra coloro che Canova raccomandò a Napoleone come i maggiori artisti sulla scena romana del tempo, scelti per realizzare il programma decorativo della nuova residenza imperiale al Quirinale. E fu ancora Canova a voler affidare a Landi la prestigiosa cattedra di pittura presso l’Accademia di San Luca, ricoperta dal 1812 al 1827. Il pittore piacentino non mancò di omaggiare l’amico inserendo nelle sue opere rimandi iconografici tratti dalle sculture canoviane, e rielaborò il celebre gruppo marmoreo di Amore e Psiche (Parigi, Louvre) nel dipinto di stesso soggetto conservato al Museo Correr di Venezia (Mellini 1987, p. 53; Cerchi 2019, p. 331).
Gaspare Landi si distinse principalmente per la sua produzione di genere storico, ma coltivò attivamente anche la ritrattistica, che sperimentò in varie tipologie: dal ritratto equestre di Sigismondo Chigi in compagnia del Visconti (Roma, collezione Chigi), a quello idealizzato della poetessa Teresa Bandettini (Lucca, Palazzo Mansi), al ritratto di gruppo della famiglia del suo mecenate piacentino, il marchese Giambattista Landi delle Caselle (Torino, collezione d’Albertas). L’effigie dedicata all’amico Canova è uno straordinario esempio di “ritratto parlante” in cui l’espressione del volto, resa in maniera estremamente naturale, è colta con grande immediatezza e massima intensità (Grandesso 2008, p. 16).
Il dipinto faceva parte della raccolta del barone Otto Messinger, presso cui lo vide Adolfo Venturi nel 1907 (pp. 59-60), e confluì nella Galleria Borghese nel 1919 insieme all’Autoritratto di Landi, entrambi donati dal collezionista.
I due dipinti furono certamente eseguiti in momenti ravvicinati, ed è probabile che siano riconducibili agli ultimi mesi dell’anno riportato su entrambi. Di queste tele, infatti, non viene fatta menzione nella corrispondenza che l’artista intrattenne almeno fino al 4 settembre 1806 con il già citato marchese Landi delle Caselle, mecenate da cui ebbe protezione e che gli sovvenzionò il soggiorno di studio a Roma.
Un’altra versione autografa del Ritratto di Antonio Canova, di simili dimensioni e anch’essa firmata e datata 1806, fu commissionata dal conte Antonio Pezzoli ed è oggi conservata presso l’Accademia Carrara di Bergamo.
Pier Ludovico Puddu