Questa tela, raffigurante il profilo di un uomo tracciato con grande rapidità e maestria, è stata attribuita a Vittorio Ghislandi, un pittore bergamasco noto principalmente come ritrattista, il cui successo è legato alla sua innata capacità di riproduzione dal vero. Volti assai caratterizzati, simili al dipinto in esame, distinguono infatti la sua produzione, largamente apprezzata sia dalla committenza locale che da quella straniera.
Salvator Rosa cm 56,3 x 38,8 x 4,5
Roma, collezione Borghese, 1833 (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 39). Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questo dipinto è tuttora ignota. L'opera, infatti, è documentata in casa Borghese solo a partire dal 1833, descritta nel relativo elenco fidecommissario come 'Ritratto, Maniera di Tiziano' (Inv. Fid. 1833).
L'attribuzione al maestro cadorino, accettata senza riserve da Giovanni Piancastelli (1891), fu confutata da Adolfo Venturi; lo studioso, infatti, preferì debitamente parlare di scuola veneziana, parere precisato poco dopo da Roberto Longhi che dal canto suo giudicò il dipinto 'un'opera accademica della metà del Settecento a Roma' (Longhi 1928).
La prima a fare il nome di Vittorio Ghislandi, pittore bergamasco noto come Fra' Galgario, fu Paola della Pergola (1955). Secondo la studiosa, infatti, la vivacità del tratto e la singolare delicatezza del colore di questa testa apparivano molto simili al Giovane contadino di Milano (coll. Olcese) e al Ritratto di dama di proprietà Beltrami, due tele autografe del frate lombardo caratterizzate da una pennellata esperta e rapida.
Tale attribuzione, mai confutata dalla critica - né tantomeno accettata nelle più recenti pubblicazioni sull'artista - è stata riproposta nel catalogo per immagini della Galleria Borghese da Kristina Herrmann Fiore (2006).
Antonio Iommelli