Il busto, citato per la prima volta nel salone nel 1893, ritrae un uomo anziano dall’aspetto appesantito. Il capo caratterizzato da un’incipiente calvizie, il naso adunco e il collo taurino richiamano l’iconografia diffusa dell’imperatore Galba, regnante dal 68 al 69 d.C. I numerosi studi concordano nell’individuare nell’opera una realizzazione ottocentesca ispirata al tipo “monetale III” e abilmente operata nell’Ottocento con l’intento di attribuirle autenticità. Recenti osservazioni tecnico-stilistiche, che hanno evidenziato interventi realizzati l’uso dello scalpello e del cemento, confermano tale tesi.
Collezione Borghese, citato per la prima volta nell’Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 46, n. 79 nella sala II e quindi, esposto nel Salone, dal Venturi (1893, p. 15). Acquisto dello Stato, 1902.
Il volto raffigura un uomo in età avanzata, dalla testa massiccia e squadrata, posto su un busto loricato di portasanta, di fattura moderna. Il capo, calvo, presenta una fronte ampia e incavata nelle tempie, solcata da profonde rughe: due che corrono orizzontalmente e altre due a sottolineare l’attacco del naso. Gli occhi, infossati e sormontati da profonde arcate sopraccigliari, rivelano pesanti borse sottostanti. Sotto il naso, aquilino, è la bocca con labbra contratte e segnata da profonde rughe di espressione. Il mento è sporgente e le guance scarne e cadenti.
Nel ritratto si individua l’immagine dell’imperatore Galba, salito al trono nel giugno del 68 d.C., ormai settantenne, e ucciso nel gennaio del 69 d.C.
Per primo il Venturi, nel 1893, indica nella sua guida l’opera come “testa virile incognita in marmo pario, su busto di porta santa”, esposta nel salone della Palazzina Borghese (p. 15). Il Giusti, pochi anni più tardi, conferma la collocazione, definendola “testa d’uomo in marmo greco” (1903, p. 18).
Nel 1942 viene descritta dal Borda in un ampio lavoro nel quale vi si riconosce, per la prima volta, un ritratto di Galba per il “confronto con i tipi monetali di alcuni sesterzi che ci danno l'effigie dell’imperatore”. I tratti fisionomici rispecchiano l’iconografia ufficiale nota dalle fonti antiche, in particolare da Svetonio: “Di giusta statura, con evidente calvizie, occhi azzurri e naso aquilino” (Svet. Galba 21). L’autore individua nel busto di bronzo argentato, conservato nel Museo Nazionale di Napoli, il ritratto più pertinente (1942 pp. 87-97). Il successivo studio di Jucker considera antica la superficie del marmo ma insolita la presenza di un foro all’orecchio (1963-1964, p. 296). La von Heintze pone, invece, dubbi circa l’autenticità della scultura, ritenendola di età rinascimentale in base alla forma della testa e alla lavorazione del marmo (1968, p. 150). La Fabbricotti svolge una ricerca approfondita sull’opera, avvalendosi della collaborazione dell’archeologa Amanda Claridge, la quale individua nel marmo un tipo di alabastro trasparente, poco diffuso nell’antichità, in particolare per l’esecuzione di ritratti, e nota sulla superficie la presenza di tratti di un leggero strato di cemento che arriva a ricoprire anche il busto moderno, probabilmente a fingere concrezioni naturali prodotte dal tempo. Inoltre, la visibile differenza tra il modellato morbido del collo e delle guance e la rigidità delle rughe ai lati della bocca e degli occhi, inducono la studiosa ad attribuire con certezza l’opera ad un artista ottocentesco. Le sembra, tuttavia, ch’egli si sia servito di un modello preciso, il tipo monetale III (pp. 61-63 n. II).
Tali osservazioni tecnico-stilistiche trovano conferma nelle recenti valutazioni conservative svolte da Maria Grazia Chilosi nel 2021 e pubblicate nell’esaustivo studio della Ciofetta dell’anno successivo. In esso sono riportati con puntuale precisazione gli interventi operati sulla scultura, che presenta tra l’altro, sulla superficie del naso, i segni di una “falsa erosione” realizzati a scalpello, effettuati verosimilmente per simulare l’antichità del pezzo. Inoltre la studiosa individua su base documentaria la presenza del busto nel 1833, registrata dall’Inventario fidecommissario, in una nicchia della sala II, dalla quale esso fu spostato intorno al 1891 nel salone, dove lo descrive Venturi (1893, p. 15). Per motivi storici, oltre che stilistici e conservativi, si conferma quindi la posizione maggioritaria della critica che lo reputa moderno, ipotizzandone l’esecuzione nel periodo in cui una nuova collezione di scultura antica, completata da elementi in stile o fortemente restaurati, va a sostituire la collezione perduta a causa della famosa vendita alla Francia del 1807 in vista della riapertura del museo, celebrata dalla famosa pubblicazione dei Monumenti scelti del Nibby del 1832. Si tratterebbe, quindi, di un’opera ottocentesca, realizzata nei primi anni Trenta mediante l’unione di una testa, scolpita da un blocco vergine oppure da un pezzo antico totalmente rilavorato, e un busto moderno in portasanta (Ciofetta 2022, pp. 315-316).
Giulia Ciccarello