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Ritratto di Uomo

copia da Giorgione

(Castelfranco Veneto 1477 ca. - Venezia 1510)

Il dipinto è ritenuto copia, certamente non del tutto fedele, del cosiddetto Ritratto Terris di Giorgione del 1506 circa. Sebbene la stesura del colore e alcune citazioni puntuali, quali l’apertura della veste scura sul colletto bianco della camicia, denotano l’evidente rapporto con la ritrattistica di Giorgione, resta infinita la distanza che separa il quadro Borghese dallo straordinario originale del maestro di Castelfranco.


Scheda tecnica

Inventario
082
Posizione
Datazione
Metà del XVII secolo
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
olio su tela
Misure
cm 39 x 33
Cornice

Salvator Rosa (cm. 46 x 40,5 x 5,5)

Provenienza

Roma, collezione Borghese; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 24. Acquisto dello Stato, 1902.

Conservazione e Diagnostica
  • 1952 Augusto Cecconi Principi

Scheda

La tela ritrae un uomo di tre quarti, con veste scura e camicia bianca visibile solo in minima parte, che volge lo sguardo verso lo spettatore. L’incarnato e le labbra rosse contrastano con gli occhi scuri e penetranti dell’effigiato, mentre l’abito e i capelli di quest’ultimo quasi si confondono con il fondo, cosa che nell’insieme rende l’opera non perfettamente leggibile.  

Il dipinto è ritenuto copia, certamente non del tutto fedele, del cosiddetto Ritratto Terris di Giorgione del 1506 circa, conservato nel Museum of Art di San Diego. Sebbene la stesura del colore e alcune citazioni puntuali – quali l’apertura della veste scura sul colletto bianco della camicia – denotano l’evidente rapporto con la ritrattistica di Giorgione, resta infinita la distanza che separa il quadro Borghese dallo straordinario originale del maestro di Castelfranco. Negli elenchi del Piancastelli (1891) il ritratto è assegnato al Bronzino sulla scorta della precedente citazione inventariale del 1833, quando il dipinto era esposto nella Stanza delle Veneri di palazzo Borghese, unitamente a diversi capolavori.

Adolfo Venturi (1893) propone il nome di Ottavio Leoni (1578-1630), che fu attivo al servizio dei Borghese nel secondo decennio del Seicento, tuttavia tale riferimento è stato respinto da Longhi (1928) e dalla critica successiva, che generalmente ritiene l’opera una copia seicentesca dall’originale giorgionesco suddetto. L’ipotesi di ricondurre l’esecuzione di questa copia al novero di repliche seicentesche realizzate per conto della famiglia dagli originali che la stessa possedeva (Della Pergola 1955) non può al momento essere approfondita anche considerando che né l’originale, né la copia, sono individuabili negli inventari Borghese noti.

Pier Ludovico Puddu




Bibliografia
  • G. Piancastelli, Catalogo dei quadri della Galleria Borghese in Archivio Galleria Borghese, 1891, p. 255;
  • A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, p. 76;
  • R. Longhi, Precisioni nelle Gallerie Italiane, I, R. Galleria Borghese, Roma 1928, p. 185;
  • P. Della Pergola, Galleria Borghese. I dipinti, I, Roma 1955, p. 114, n. 203;
  • K. Garas, Bildnisse der Renaissance II : Dürer und Giorgione, in “Acta Historiae Artium”, 18, 1972, 1/2, p. 133;
  • T. Pignatti, Giorgione, Venezia 1978, p. 113, n. 26;
  • K. Herrmann Fiore, Galleria Borghese Roma scopre un tesoro. Dalla pinacoteca ai depositi un museo che non ha più segreti, San Giuliano Milanese 2006, p. 31.