Il ritratto, forse commissionato direttamente dal cardinale Scipione Borghese, è citato nell'inventario fedecommissario del 1833 con l'errata attribuzione a Caravaggio, assegnato successivamente dalla critica a Ottavio Leoni e a Marcello Provenzale.
L'opera ritrae un uomo di tre quarti, a mezzo busto, il cui viso esaltato da una candida gorgiera e rischiarato da una luce pallida, emerge dal fondo scuro. L'identità dell'uomo, in passato riconosciuta con il mosaicista centese, Marcello Provenzale, resta tuttora nell'ombra.
Roma, collezione Borghese, 1833 (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 13). Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto è segnalato per la prima volta in collezione Borghese nell'elenco fedecommissario del 1833, descritto nella Stanza dell'Amor Sacro e Profano come "Ritratto, di Michel'Angelo da Caravaggio", attribuzione accolta positivamente da Giovanni Piancastelli (1891) nel catalogo manoscritto del Museo Borghese. Rigettata l'attribuzione a Caravaggio, nel 1893 Adolfo Venturi assegnò la tela ad Antonio Balestra, nome scartato a sua volta da Roberto Longhi (1928) che riportò il ritratto in ambito romano, datandolo intorno al 1620.
Nel 1955, dopo aver individuato l'identità del soggetto attraverso due opere di Ottavio Leoni, Paola della Pergola pubblicò la tela come Autoritratto di Marcello Provenzale da Cento (1955, p. 63, n. 108), riconoscendovi la stessa fattura "contenuta e allisciata" del Ritratto di Paolo V (inv. 495) eseguito dal mosaicista centese nel 1621. Tale parere, accolto positivamente da Bernardina Sani nel 2005, è stato messo in discussione da Camilla Fiore (2010) e rigettato recentemente da Yuri Primarosa (2017) che nella monografia su Ottavio Leoni ha escluso ogni associazione con il ritrattista romano.
L'opera ritrae un uomo di tre quarti, raffigurato a mezzo busto il cui viso, esaltato da una candida gorgiera e rischiarato da una luce pallida, emerge dal fondo scuro. Come già detto, l'effigiato è stato identificato da Paola della Pergola con il noto mosaicista di casa Borghese, le cui fattezze furono riconosciute mediante un disegno (Firenze, Biblioteca Marucelliana, vol. H.017) e un'incisione (Roma, Gabinetto Nazionale della Grafica, inv. F.C. 93031) di Ottavio Leoni, a cui - tra l'altro - la studiosa aveva timidamente avvicinato il quadro in prima battuta, nome poi scartato in favore del centese.
Antonio Iommelli