La tela, attribuita in passato al pittore ticinese Pier Francesco Mola, è stata recentemente restituita dalla critica a Jusepe de Ribera detto lo Spagnoletto, artista spagnolo noto come uno dei massimi protagonisti della pittura napoletana del Seicento. La tela, eseguita intorno al 1613-1614 circa, rappresenta l'apostolo Pietro che nel buio di una prigione dove è stato incatenato, viene visitato da un angelo che miracolosamente lo libererà dalla prigionia. La storia, tratta dagli Atti degli Apostoli (12:6), è stata qui trasposta con incredibile pathos e notevole maestria dal famoso pittore che, attraverso un uso sapiente del calore, è riuscito a rendere palpabili i soggetti ritratti.
Il dipinto è menzionato per la prima volta in collezione Borghese nel 1693, attribuito dall'estensore dell'inventario a 'Monsù Valentin', nome corretto pochi anni dopo (1700) a favore di Annibale Carracci. Nel 1787 Basilius von Ramdhor segnalò il quadro come opera di Pier Francesco Mola, menzione accolta favorevolmente sia nell'inventario del 1790, sia dal compilatore degli elenchi fedecommissari del 1833, giungendo con tale attribuzione fino a Giovanni Piancastelli (1891) che qualche anno dopo, come si legge nelle Note di Giulio Cantalamessa (1912), suggerì il nome di Jusepe de Ribera. Pur individuando nella figura 'grandiosa' e 'robusta' di Pietro la maniera dello Spagnoletto, nel 1893 Adolfo Venturi ripropose il nome di Mola, parere accettato da tutti i suoi colleghi (Ozzola 1911; Arslan 1928; Longhi 1928) e da Paola della Pergola (1959) che pubblicò l'opera con il riferimento al pittore ticinese nel catalogo dei dipinti della Galleria Borghese.
L'attribuzione a Pier Francesco Mola, già messa in dubbio da Richard Cocke (1972), è stata definitivamente respinta da Gianni Papi che nel 2003, considerando il dipinto stilisticamente affine al Mendicante sempre in collezione Borghese, ha restituito la tela al catalogo di Ribera, segnalando che la figura dell'angelo in volo poté aver influenzato il San Vincenzo incoronato da un angelo eseguito per il marchese Vincenzo Giustiniani da Timan Arentsz Craft (o Cracht), pittore tedesco attivo a Roma tra il 1622 e il 1629. Tale paternità, rifiutata inizialmente da Nicola Spinosa (2006) ma ribadita da Papi nel 2005 e nel 2007, è stata infine accettata dallo studioso napoletano (Spinosa 2008), che ha accolto il dipinto fra le opere giovanili dello Spagnoletto, esponendolo nel 2011-2012 nell'importante mostra sul giovane Ribera.
Come ha sottolineato Papi (2011), che ha datato l'opera al 1613-1614 circa, questa Liberazione è un grande esito della fase romana di Ribera che mostra notevoli similitudini nella resa delle vesti e nel trattamento dei panneggi con il Mendicante Borghese (inv. 325), il Geografo sorridente (Svizzera, coll. privata), l'allegoria dell'Olfatto (Madrid, coll. Juan Abellò) e con il personaggio a sinistra del Cristo fra i dottori (Langres, chiesa di Saint-Martis, collezione Ville de Langres). Il bellissimo angelo senza ali, illuminato da una luce pallida che mette in risalto le sue fattezze carnali, è una chiara citazione caravaggesca, il cui volto immerso nell'ombra richiama quello del boia del Giudizio di Salomone (inv. 033), a cui rimanda anche il dettaglio dei sandali dipinti in primo piano (cfr. Papi 2011). Tenuto conto, infine, delle dimensioni di questa tela, corrispondenti grossomodo a quelle di una pala d'altare, Papi ha infine ipotizzato che il suo ingresso in collezione Borghese possa essere avvenuto attraverso una commissione o un acquisto diretto da parte di un membro della famiglia Borghese, individuabile forse con il cardinale Scipione, noto all'epoca per accaparrarsi opere 'rifiutate', come quelle di Caravaggio e di Cecco Boneri.
Antonio Iommelli