L’opera è stata riferita dalla critica a diversi maestri attivi a Roma durante la prima metà del Seicento, senza tuttavia ottenere una designazione definitiva. Raffigura San Pietro in lacrime alla presenza di un gallo, simbolo del suo tradimento ma anche dell’alba nuova.
Collezione Borghese, citato nell’Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 8. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto, la cui provenienza è ignota, compare per la prima volta nell’inventario fidecommissario del 1833 come opera di Jusepe de Ribera detto lo Spagnoletto. Il primo a menzionarne la sistemazione all’interno della Villa Borghese è il Nibby (II, 1841, p. 596) che, riportando l’attribuzione al pittore spagnolo, la definiva “opera piena di espressione […] e in cui è osservabile anche la vigoria del colorito”. Piancastelli (1891) ripeteva questo nome, mentre Venturi (1893) pensava a Giacinto Brandi e Longhi (1928) ad “un naturalista romano lievemente riberesco e moliano, verso il 1640”. Della Pergola (1959), da parte sua, preferiva mantenere un più generico riferimento all’ambito romano di metà Seicento, che è senz’altro quello giusto.
L’opera raffigura San Pietro affranto per aver rinnegato Gesù: con le mani giunte in preghiera, l’anziano santo volge lo sguardo pentito verso un punto lontano, alla presenza di un gallo, simbolo del tradimento e al contempo della buona novella di un’alba nuova e della luce che vince le tenebre.
Elisa Martini