Il fregio, pertinente al fronte di un sarcofago, è di ignota provenienza e venne murato nel Cinquecento insieme al retro nella facciata orientale della palazzina, la cd. Prospettiva, poi spostato nei magazzini. Infine, affidato nel 1826 ai restauratori Antonio D’Este e Massimiliano Laboureur, fu collocato, con il retro, su due pareti opposte della sala II. Sei colonne tortili sormontate da capitello composito scandiscono lo spazio in cinque scomparti, campiti da cinque delle dodici fatiche sottoposte da Euristeo a Ercole: da sinistra l’eroe sconfigge il Leone di Nemea, l’Idra di Lerna, il mostro a nove teste, il Cinghiale di Erimanto, la Cerva di Cerinea catturati e portati a Euristeo e gli Uccelli di Stinfale. Il tema iconografico godette di particolare apprezzamento nel mondo romano, in particolare sui sarcofagi di tipo attico o microasiatici: le fatiche dell’eroe civilizzatore alludevano, infatti, all’operosa attività svolta dal defunto in vita, quali promessa di gloria eterna e immortalità.
Collezione Borghese (ante 1700; citato da Montelatici, p. 170); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C, p. 46, n. 70 (sala II). Acquisto dello Stato, 1902.
Il fregio con “alcuni gesti d’Hercole” è pertinente al fronte di un sarcofago, di ignota provenienza, murato insieme al retro (VC) nella facciata orientale della palazzina, la cd. Prospettiva, come ricordato da Montelatici. Era conosciuto dal Cinquecento, come risulta dai disegni di Giovanni Antonio Dosio e Guglielmo della Porta (Hülsen 1933, p. 24, tav. LXVII; Gramberg 1964, p. 34, n. 9). In un momento successivo entrambi i rilievi vennero spostati in un magazzino della Villa, dove rimasero fino al 1826, all’epoca dell’allestimento della nuova collezione nel Casino, depauperato dalla massiccia vendita delle opere a Napoleone Bonaparte: Evasio Gozzani ne predispose il restauro a opera di Massimiliano Laboureur o Antonio D’Este. Nell’allestimento in sala II i fregi vennero assemblati con coperchi e maschere acroteriali con personificazione dei Venti pertinenti ad altri sarcofagi (LXXX).
Sei colonne tortili sormontate da capitello composito scandiscono lo spazio in cinque scomparti; racemi acantini ornano lo spazio al di sopra della curvatura degli archi. Una ricca cornice con kyma lesbio e ovuli unisce l’impianto architettonico, alludendo alla frons scenae dei teatri romani, mentre lo zoccolo, inquadrato fra telamoni, è decorato da scene di caccia in paesaggio roccioso.
Gli intercolumni sono campiti dalle dodici fatiche imposte da Euristeo a Ercole secondo l’ordine tradizionale riportato dallo Pseudo Apollodoro (2, 5, 1-12), di cui cinque sulla fronte: da sinistra l’eroe, ancora giovane, sconfigge il Leone di Nemea, l’Idra di Lerna, il mostro a nove teste di cui una immortale, schiacciata dall’eroe, il Cinghiale di Erimanto, la Cerva di Cerinea catturati e portati ad Euristeo e gli Uccelli di Stinfale, che si nutrivano di carne umana. Le fatiche dell’eroe maturo proseguono sul retro (VC) e sui lati brevi – ora perduti – in cui doveva essere rappresentato il mostro Cerbero e la conquista dei pomi delle Esperidi. Il restauro attuale è, per quanto concerne la fronte, coerente con quanto documentato dai disegni cinquecenteschi.
Il soggetto del dodekathlon risulta uno dei principali temi decorativi proposti sui monumenti funerari prodotti sia in Italia sia nelle province in media età imperiale, come attesta la serie di sarcofagi urbani a fregio continuo datati fra 150 e 180 d.C. (es. sarcofago Torlonia, inv. MT 422; De Lachenal 2020), di cui il più antico è probabilmente quello monumentale da Velletri (Jongste 1992, pp. 22, 39 ss). Il soggetto riscosse grande successo anche sui sarcofagi microasiatici: la lastra in esame appartiene, infatti, a un sarcofago del tipo "a colonne", produzione molto nota che si ritiene sia fiorita a Docimio per circa un secolo, tra il 160 e il 260-270 d.C., grazie alla pregiata qualità di marmo bianco e all'attività di maestranze locali, e che conobbe un'ampia importazione soprattutto a Roma (Wiegartz 1965; Koch 2011; Strocka 2017; sulla predilezione del tipo da parte delle aristocrazie di età antonina, cfr. Thomas 2011).
La fortuna di tale tema iconografico è strettamente connessa alla figura mitica di Eracle, eroe civilizzatore in grado di ordinare il mondo minacciato dai mostri e rendere disponibile per l’uomo ciò che dapprima risultava a lui estraneo e, al contempo, varcare la soglia dell’Ade conquistando l’immortalità. Le fatiche di Eracle alludevano dunque all’operosa attività svolta dal defunto in vita, che affrontando con coraggio i compiti del proprio destino, intraprendeva un percorso virtuoso di eterna fama (Grassinger 2007, p. 116).
La ricchezza degli elementi architettonici e decorativi che fanno da cornice alle rappresentazioni, il cui modello si deve riconoscere nella tipologia delle scene dei teatri, trovano confronti con opere realizzate fra 160 e 170 d.C. (Wiegartz 1965, p. 27; Waelkens 1982, p. 76; Jongste 1992, p. 122; Strocka 2017, p. 84) e, in maniera più stringente, con il monumento nella collezione Torlonia, uno fra quelli meglio conservati (inv. MT420, Dodero 2020).
Jessica Clementi