La Sfinge ha grandi occhi, naso dritto e la bocca che accenna ad un sorriso, e indossa il nemes, la cuffia di stoffa che scendeva ai lati del capo in due ampie ali ricadenti sul petto, simbolo della natura divina del faraone, figlio del dio sole Ra. Sulla fronte è posto l'ureo, il serpente avvolto in spire, cui era affidata la protezione del faraone. Il corpo da felino è adagiato, con le zampe anteriori allungate in avanti e le posteriori ripiegate sotto il ventre; la coda è avvolta intorno alla zampa posteriore destra.
Documentata per la prima volta nella sala Egizia dal Nibby nel 1832, la scultura fu probabilmente realizzata per creare un pendant per l’altro esemplare di età imperiale con cui è esposta, su disegno di Luigi Canina.
La scultura presenta tutti gli elementi caratteristici della figura mitologica, con corpo leonino e testa umana,frequentemente rappresentata nell'arte egizia. Si tratta di un esemplare moderno che, insieme con l’altra sfinge di età imperiale (inv. CCVII) cui fa da pendant nella sala VII, ricompone la duplicità caratteristica degli esemplari prodotti in Egitto per essere collocati a protezione degli ingressi degli edifici funebri e assai comune a Roma già dal XVIII secolo, dove era stata ripresa in Villa Albani (1760) e nel Caffè degli Inglesi di Giovanni Battista Piranesi (1765-67 circa).
Oltre che per la evidente differenza di dimensioni, questo esemplare si distingue dal suo pendant per la levigatezza del modellato, che modera i passaggi tra le varie parti smussando angoli e profili: il nemes, copricapo del faraone, è qui privo delle bande orizzontali e le zampe si concludono con estremità arrotondate in cui non sono stati incisi i profili degli artigli, ben visibili nell’altra sfinge. Intento dell’autore era con tutta probabilità quello di non confondere la nuova sfinge con l’originale.
Documentata per la prima volta nella sala Egizia insieme all’altra nel 1832 dal Nibby, che le riteneva entrambe moderne (p. 120), fu considerata un’imitazione eseguita forse su disegno di Luigi Canina dal Venturi (1893, p. 44); attribuzione questa riproposta anche da De Rinaldis nel 1948 (p. 30) e da Della Pergola (1951, p. 20). Seppure non supportata da alcuna notizia documentale, l’ipotesi viene considerata verosimile da Faldi e l’esecuzione giustificata dalla necessità di riallestire la sala successivamente alla vendita a Napoleone della maggior parte delle opere che la decoravano (1954, p.44). L'attribuzione del disegno all’architetto piemontese è avvalorata, secondo lo studioso, dalla conoscenza approfondita dell'arte egizia, che trasparirebbe in alcuni dettagli quali il nemes e l’ureo. Una competenza di cui Canina aveva dato prova nel 1827 nel progetto dei propilei interni della Villa Borghese.
Sonja Felici