Statua di Artemide a grandezza naturale, definita del tipo Borghese per la particolare iconografia, che non trova confronto tra gli esemplari analoghi.
Sebbene non ricorrano gli attributi consueti (le armi, la luna o il cervo), la posa e la veste consentono di identificare la figura con la giovane dea in abito da cacciatrice. L’integrazione moderna delle braccia, inoltre, coglie nel segno rispetto alla posizione originaria e al gesto di preparazione al lancio del dardo. L’intonazione del volto e la capigliatura rimandano a modelli del IV secolo a.C. reinterpretati in questa copia di età imperiale ad opera, molto probabilmente, di una officina neoattica.
Collezione Giustiniani. Collezione Borghese, in Inventario Fidecommissario Borghese 1833, n. 124. Acquisto dello Stato, 1902.
Una incisione di Giovan Battista De Rossi del 1641 riproduce la scultura e ne testimonia la provenienza dalla collezione Giustiniani, riportando sul piedistallo in aedibus Iustinianeis (Roma, Gabinetto Nazionale delle Stampe S-FC282 vol. 26 F7; vedi Gasparri 1987, p. 265). Al pari delle altre statue femminili raffigurate nell’incisione, a loro volta confluite nella collezione Borghese, anch’essa era stata identificata nel Seicento con una Musa, in particolare l’aggiunta del globo nella mano sinistra ne restituiva l’interpretazione come Urania. Al contrario, il successivo restauro, che ha previsto la sostituzione delle mani e l’inserimento di attributi simbolici, allusivi all’arco e alla freccia, avvicina la figura all’iconografia originaria, ovvero quella di Artemide cacciatrice (EA 1925, p. 12, n. 2743 Lippold).
L’Inventario Fidecommissario Borghese del 1833, infatti, cita una statua di Diana allestista entro una delle sei nicchie della sala nobile, allora definita Galleria degli Imperatori, accanto a una Venere marina, a un’altra statua di Diana (inv. CXXIX), a due figure di Bacco e a una Musa (quest’ultima, in realtà, è l’Artemide tipo Dresda inv. CXXVI).
Si tratta di una immagine giovanile, stante sulla gamba sinistra, mentre la destra è piegata con il piede appena sollevato. Il braccio destro è portato all’altezza della spalla con l’avambraccio sollevato, mentre il sinistro accompagna la linea del busto fino all’avambraccio piegato in avanti. Il volto è leggermente inclinato, con lo sguardo rivolto a sinistra, in direzione dell’arco, a conferma dell’atteggiamento e della posizione originaria delle braccia. Senza dubbio, nell’esemplare antico l’effetto del movimento doveva apparire meno rigido.
Le vesti e l’iconografia, che, ben intesa dal restauratore, presenta una figura colta nel gesto di preparazione al lancio del dardo, consentono di riconoscervi una Artemide cacciatrice. La dea indossa un chitone manicato, con il tessuto stretto sulle braccia da piccoli bottoni, e un peplo cinto al di sotto del seno e fermato sulla spalla destra da una fibula circolare. Sia il chitone, sia il peplo – caratterizzato da un notevole apòptygma – sono corti al ginocchio. Sulla spalla e sul braccio sinistro ricade un ampio hymation, panneggiato e in parte restaurato già in antico. I calzari stringati ricorrono nelle raffigurazioni di Artemide, ma in questo caso entrambi i piedi derivano dall’integrazione moderna. La scultura compare, come «statua pedestre di bizzarissima Diana con nuovo vestiario», nella quinta nota degli oggetti affidati al D’Este e al Laboureur (ASV, AB, B. 1007, fasc. 301; Moreno, Sforzini 1987, p. 362).
I tratti del volto, morbidi e delicati, i lineamenti e la conformazione della testa, con i capelli divisi da una scriminatura centrale e raccolti in ciocche ondulate che scendono sulle tempie, rimandano a modelli policletei. Il medesimo orizzonte stilistico è indicato dalla ponderazione, dalla posa chiastica, dalla resa del panneggio e da un complessivo, elegante, equilibrio delle forme. Non si conoscono altre repliche di questo tipo – significativo tanto per l’aspetto iconografico quanto per il materiale – derivante da un originale greco del IV secolo a.C. e riprodotto in età imperiale da officine attiche, esperte nell’uso del marmo pentelico.
Clara di Fazio