La scultura ritrae un’immagine di Artemide del tipo Colonna, vestita di un chitone senza maniche e di un peplo. La faretra è sostenuta dal balteo che attraversa diagonalmente il petto. Il braccio sinistro è piegato all’indietro nell’atto di prendere una freccia, mentre il destro trattiene nella mano un oggetto, probabilmente da riferire ad un arco. La testa, non pertinente, è sormontata da una capigliatura a ciocche mosse, trattenuta in uno chignon e decorata da due sottili tenie. La raffigurazione iconografica della scultura replica, nella metà del II secolo d.C., variando l’impostazione delle braccia, un modello derivante da un originale greco inquadrabile in epoca ellenistica.
Rinvenuta nel 1820 negli scavi di Vigna Lucidi di proprietà della famiglia Borghese, è restaurata nello stesso anno dallo scultore Felice Festa.
Proveniente dagli scavi della Vigna Lucidi del 1820 (Moreno, Sforzini 1987, p. 348). Nella Collezione Borghese, è ricordata all’interno della Palazzina nel 1832 nel Salone (Nibby, p. 52). Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 42, n. 24. Acquisto dello Stato, 1902.
La scultura proviene dagli scavi intrapresi per volontà del Principe Camillo Borghese nel 1820 in una vigna di proprietà della famiglia in località Santa Croce, tra Monte Porzio e Frascati, concessa in enfiteusi a Cesare Lucidi. Nel settembre dello stesso anno la statua è affidata ai restauri dello scultore Felice Festa: “Una statua rappresentante Diana cacciatrice grande al naturale mancante di tutte le dite delle due mani, e delle dita alle ultime falangi del piede sinistro, il braccio destro per essere troppo abbondante nella sua grossezza, dovrà meglio studiarsi per metterlo in proporzione, e nel caso ciò non sii possibile, sarà rifatto. Saranno rimesse tutti i pezzi di pieghe mancanti, e la pianta di detta statua sarà spiana il tutto fatto a dovere, e di marmo consimile”. Sulla parte moderna del plinto è visibile il monogramma M L che il Moreno ipotizza pertinente a Massimiliano Francesco Laboureur, forse a ribadire una sua collaborazione negli interventi (Moreno, Sforzini 1987, p. 348).
Il Nibby, che la ricorda nel 1832 nel Salone, la reputa “una copia di originale classico, eseguito a’ tempi di Adriano” (p. 52). Il Venturi nel 1893 la ritiene del medesimo tipo della Diana con fiaccola dei Musei Vaticani (p. 15). La Calza, che indica di restauro parte delle braccia e la testa, ne individua il tipo dell’Artemide Colonna, così definita dall’esemplare di Berlino proveniente dalla collezione Colonna. L’autrice la considera un’opera ellenistica con richiamo a tipi del IV secolo a.C. (p. 9, n. 34).
La figura, a grandezza naturale, è in movimento con la gamba destra dritta a sostegno del corpo e la sinistra avanzata. Indossa un chitone senza maniche e un peplo che, trattenuto dal balteo diagonale sul petto, forma un morbido sinus sotto il seno sinistro. Ai piedi porta calzari dall’alta suola. Il braccio sinistro è steso di lato e piegato al gomito, nell’atto di prendere una freccia dalla faretra; quello destro è disteso lungo il corpo e nella mano trattiene un oggetto di restauro, forse parte di un arco.
La testa, non pertinente, volta verso destra, è coronata da una pettinatura a lunghe ciocche ondulate e scriminate al centro, raccolte in uno chignon nella parte posteriore. I capelli sono cinti da due sottili tenie. La forma del viso è ovale con occhi di forma amigdaloide e dall’iride liscia sormontati da fini arcate sopraccigliari. La bocca dalle piccole labbra carnose è dischiusa, il mento, sporgente, di forma circolare.
La scultura ritrae il tipo iconografico ampiamente riprodotto dell’Artemide cacciatrice, con una variante nelle braccia invertite. Un confronto particolarmente pertinente si individua nell’esemplare conservato nella Villa Albani (Linfert 1990, pp. 307-311, nota 8, n. 15) e in un secondo ai Musei Capitolini (Papini 2011, pp. 36-37). Nella stessa collezione Borghese, esposta nel Salone in posizione simmetrica rispetto alla porta, è presente una seconda replica analoga (Inv. XXXIII).
L’Amelung nel 1895, analizzando la testa, la ritiene non pertinente alla statua di Artemide e la pone a confronto con una simile agli Uffizi, attribuendole entrambe ad un medesimo originale della fine del V secolo a.C. (p. 23, nn. 364-366). Il von Steuben ne individua, invece, un’ispirazione di stile del IV secolo a.C. (1966, pp. 704-705, n. 1943).
In base alle osservazioni stilistiche, in particolare il trattamento classicistico delle pieghe del panneggio, la scultura sembra potersi inquadrare nella metà del II secolo d.C., periodo nel quale si colloca anche la testa.
Giulia Ciccarello