Il Satiro, colto in un passo di danza, è raffigurato sulle punte dei piedi e con coda equina. La sua natura ferina è evidente soprattutto nel capo, con una capigliatura disordinata, a larghe ciocche che sfuggono dalla corona di edera, barba folta e lunga, orecchie a punta. Il corpo segue un andamento tortile, evidenziato dalla nudità che ne esalta la tensione muscolare. Il piede sinistro è avanzato mentre il destro è in linea con l’incrocio delle gambe. Il movimento appare non completo con il busto e il volto raffigurati in maniera statica, volti verso sinistra. Le braccia, sollevate, trattengono nelle mani dei cembali, di restauro. Le tracce antiche degli attacchi delle braccia lasciano supporre che originariamente la figura dovesse sorreggere uno strumento a fiato, probabilmente un aulós. Il Satiro è sostenuto da un tronco dal quale pende una pelle di leopardo, la pardalis, attributo tipico dei cortei comastici.
L’insieme rivela un chiaro influsso di un archetipo riferito al periodo ellenistico nell’ambito della scuola sicionia. In particolare l’accurata resa dei particolari e la viva tensione della figura riporta alla ricca produzione Lisippea.
La scultura fu portata alla luce durante gli scavi della Villa dei Bruttii Praesentes, presso Monte Calvo in Sabina, nel 1824. Restaurata intorno al 1830 da Bertel Thorvaldsen, fu nel 1834 acquistata dalla famiglia Borghese.
Proviene dagli scavi di Monte Calvo in Sabina del 1824. Acquistata dalla famiglia Borghese nel 1834. Acquisto dello Stato, 1902.
La scultura fu rinvenuta durante gli scavi di un notevole complesso residenziale attribuito ai Bruttii Praesentes, presso Monte Calvo in Sabina, nel 1824. Restaurata intorno al 1830 da Bertel Thorvaldsen e acquistata dalla famiglia Borghese nel 1834, la statua fu inserita nel vano che, prima della forzata vendita napoleonica del 1807, ospitava il Sileno col piccolo Dioniso, ora al Louvre. La scelta della sistemazione ben si armonizzava con gli affreschi a soggetto dionisiaco che decorano la sala, eseguiti per volontà di Marcantonio Borghese per il loro legame con la precedente opera.
La scultura ritrae la figura di un Satiro nudo e con coda equina, impegnato in un passo di danza. Il corpo ruota sulla punta dei piedi, avviluppato intorno all’asse verticale, portando avanti il piede sinistro e lasciando il destro allineato con l’incrocio delle gambe. Il busto e il volto, rivolti verso sinistra, non partecipano alla torsione che si compie. La muscolatura, tesa e definita nei minimi dettagli, sottolinea la tensione del movimento. Le braccia distese non assecondano l’originaria costruzione spiraliforme del corpo e sorreggono nelle mani dei cembali. Nel capo ben si esprime la natura ferina del soggetto: una folta barba incornicia il volto con ciocche ritorte che scendono fino al petto e le orecchie a punta spuntano tra i ricci arruffati. La capigliatura è fermata da una tenia da cui fuoriesce una massa di capelli che ricade sul collo, mentre alcuni riccioli scomposti contornano la bassa fronte. Sul tronco di sostegno cui poggia la figura è adagiata la pardalis, pelle ferina caratteristica dei partecipanti ai cortei dionisiaci.
Prima dell’intervento ottocentesco di restauro la figura doveva originariamente tenere nelle mani uno strumento a fiato, probabilmente un aulós, composto di due calami, e avere le braccia volte più in alto, come si evince dall’attaccatura antica ancora visibile. Numerose sono le riproduzioni di questa tipologia iconografica soprattutto in statuette in bronzo, tra le quali si citano ad esempio un bronzetto proveniente da Ercolano (Comparetti, De Petra, 1883, p.271, n, 52, tav. XVI, n.10), uno conservato al Museo di Napoli (Döhl, Zanker, 1984, p.202) e un ultimo a Vienna (Saken, 1883, p.65, tav. X, 2). Una forte analogia iconografica presenta una testa identificata con Marsia, esposta al Museo Nazionale Archeologico di Firenze (inv. 13731) che presenta guance rigonfie e tracce dell’attacco dell’aulós alla bocca (Minto, 1920, p.46, fig. 67).
Nell’arte antica la figura maschile danzante trova diverse espressioni, principalmente in rappresentazioni di satiri, come testimonia la numerosa letteratura. Luciano ne La danza riporta: "Faccio a meno di dire che non si trova un solo rito misterico antico senza la danza, senza dubbio perché li istituirono Orfeo, Museo e i migliori danzatori di quel tempo. Essi stabilirono la bellissima regola che i misteri dovevano svolgersi con ritmo e danza. Senza mettere in dubbio il fatto che sia giusto mantenere il riserbo sui misteri a causa dei non iniziati, tutti hanno sentito dire che chi svela i misteri lo fa danzando” e ancora "Penso che tu non ti aspetti di sentirmi dire che ogni culto bacchico e dionisiaco consisteva in una danza. Le danze più tipiche sono tre: il cordace, la sicinnide e l'emmeleia, chiamate così dai nomi dei Satiri accompagnatori di Dioniso che le inventarono. Dioniso utilizzò quest'arte per conquistare i Tirreni, gli Indi e i Lidi, stirpi bellicose che egli riuscì a incantare con la danza nei suoi tiasi"(capp. 15, 22).
Il Satiro Borghese presenta forte affinità iconografica con le figure dei cortei dionisiaci attestate dai sarcofagi (Matz, 1968, pp. 42-43, nn. 58-60). In particolare il sarcofago dionisiaco Bardini a Firenze, di cui si conserva solo la fronte, raffigura un tiaso bacchico nel quale appare la figura di una Menade auletride ritratta in un andamento spiraliforme simile a quello della scultura Borghese (Cittadini, 1995, pp. 216-217).
La cura dell’espressività serbata nei minimi particolari, fino al dettaglio della capigliatura, l’accurata resa dei tratti anatomici e il vigore accentuato nel ruotare riporta a un archetipo riferito al periodo ellenistico nell’ambito della scuola sicionia. In particolare l’accurata ricerca della simmetria, l’opposizione dinamica riscontrata nelle due metà della stessa figura e la diretta antitesi tra le parti rispetto alla linea mediana caratterizzano la ricca produzione Lisippea. Notevole è l’analogia della torsione con la “flautista ebbra”, identificata con la Prassilla di Sicione (riconosciuta nella Danzatrice tipo Berlino: Morpurgo 1931, pp. 190-194; Cittadini 1995, pp. 208-217), celebre poetessa greca cui il bronzista aveva dedicato una statua sull’Agorà di Sicione. La fisionomia del volto del satiro ricorda invece il Socrate del tipo B (Poulsen 1931, p.33, fig. 25; Calcani 1995, pp. 256-265), opera attribuita allo stesso autore.
Giulia Ciccarello