Statua di Eracle, del tipo Albertini. La testa, compreso il collo, è moderna e replica un ritratto di Commodo. La figura è stante sulla gamba destra, mentre la sinistra è flessa. Con la mano destra impugna la clava, nella sinistra stringe i pomi delle Esperidi. Sull’avambraccio flesso è adagiata la pelle del leone (leontè), che scende lungo il sostegno laterale. Il soggetto e l’iconografia della scultura rimandano a un modello statuario di epoca ellenistica rielaborato in età imperiale romana.
Questo Eracle barbato e coronato di edera, con testa moderna che cita il ritratto di Commodo, evidentemente già integrato e restaurato nel XVI secolo, proviene dalla Collezione Ceoli, acquistata da Scipione Borghese nel 1607. Riprodotto in un disegno dell’artista fiorentino Andrea Boscoli (Roma, Gabinetto Nazionale delle Stampe, neg. 10949, Fondo Corsini, n. 130644), tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento l’“Ercole coronato” doveva trovarsi presso la casa di Tiberio Ceoli in via Giulia.
Completa delle integrazioni, senza dubbio frutto di una interpretazione erudita del soggetto iconografico, la scultura è ritratta anche in una bella incisione di Philippe Thomassin accompagnata dalla didascalia Hercules in aedibus Card. Burghesij (Antiquarum Statuarum Urbis Romae, 1608-1615, n. 34; Gallottini 1995, p. 72, n. 34).
Al suo arrivo nella Villa Pinciana fu allestita con altre statue antiche intorno alla fontana rotonda, nel primo recinto del giardino, come ricordano Iacomo Manilli e Domenico Montelatici, che parla, in particolare, di un «Hercole con la clava, e i pomi in mano da lui colti nel Giardino dell’Hesperidi in segno d’aver superato, ed ucciso il Dragone, che ne stava alla custodia» (Montelatici 1700, p. 23). La medesima collocazione è confermata dall’incisione di Francesco Venturini della fine del Settecento (edita nella raccolta di G.B. Falda sulle fontane di Roma, fig. 5, tomo 3).
Dopo il 1815 fu collocata nella sala II, definita sala del Fetonte, poi sala del Sole per la presenza del colosso radiato. In questa stanza, inserita in una delle grandi nicchie, accanto all’Eracle del tipo Copenaghen Dresda e all’Eracle a riposo (tipo Seleucia), la vide Antonio Nibby, che descrive le tre sculture, tutte molto restaurate, come di “lavoro mediocre” e aggiunge che quella sala, decorata dai cammei di Tommaso Righi, dal Fetonte di Francesco Caccianiga nella volta e dalle preziose figure di Giovanni Agricola, avrebbe ben potuto essere dedicata ad Ercole, dal momento che due statue «lo rappresentano nella mossa della celebre statua di Glicone, la terza offre il nume di Tebe coronato di edera, in atto di presentare colla sinistra i pomi degli orti delle esperidi custoditi dal fatale dragone» (Nibby 1832, p. 66).
Il suggerimento di Nibby fu evidentemente accolto se l’Inventario Fidecommissario Borghese del 1833 riporta la dedica all’eroe semidivino della sala II, che accoglie in effetti una sorta diciclo erculeo:oltre alle statue esposte nelle nicchie ricorrono, infatti, un sarcofago con le fatiche di Eracle (inv. LXXIX) e sculture con varie iconografie (Eracle fanciullo con leontè, inv. CIII; testa colossale del tipo Pozzuoli Antinori, inv. LXXXIII; Eracle fanciullo combattente, inv. LXXXIV; Erma di Eracle ammantato, inv. LXXXVI; Erma di Eracle fanciullo con pelle di ariete, inv. XC).Dopo il 1833 qui fu collocato anche il raro “Ercole effemminato” della collezione Aldobrandini, documentato fino al 1859, poi venduto alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen. Al momento della chiusura delle nicchie, verso la fine dell’Ottocento, le tre statue, di diverse dimensioni, furono riallestite e riposizionate. Prima della sistemazione nel portico, dove attualmente è esposto anche l’esemplare del tipo Copenaghen Dresda (inv. CXXII), per l’Eracle Albertini, citato da Venturi come Ercole ignudo, è attestato un passaggio in sala III (foto Anderson 4606). L’esemplare tipo Seleucia (inv. CCLXI), invece, già sulla terrazza della villa, è stato poi collocato nel portico.
Nella statua antica, di cui si conservano il corpo, le braccia, le gambe (la destra solo fino al ginocchio) e la parte superiore del sostegno, può riconoscersi una copia romana di età imperiale di un modello scultoreo greco, variamente attribuito a Lisippo (340 a.C.) o alla scuola di Policleto (375-350 a.C.), noto attraverso numerose repliche, tra le quali la più rappresentativa è l’Eracle Albertini del Museo Nazionale Romano. Secondo una diversa ipotesi di lettura, invece, il prototipo potrebbe rintracciarsi nell’Eracle Alexikakos (colui che difende dal male) di Agelada il giovane, opera realizzata per il santuario del demo attico di Melitee posta in relazione alla peste di Atene degli anni 430-429 a.C. Considerando l’impostazione e lo stile non mancherebbero affinità, in particolar modo per la restituzione anatomica del nudo, con lo Zeus del frontone di Olimpia, né con il Tideo di Riace (Museo di Reggio Calabria), attribuiti allo scultore di Argo (Moreno, Viacava 2003, p. 62). La resa stilistica e il trattamento della superficie marmorea e di alcuni dettagli, come la pelle del leone, hanno lasciato pensare alla derivazione da un originale bronzeo, di produzione magno-greca, riferibile al IV secolo a.C. Sebbene l’identificazione del modello che deve aver ispirato questa tipologia – per il quale si è suggerito anche un accostamento con l’immagine diffusa dalla monetazione di Sicione (forse creata da Skopas) o di Eraklea – resti discussa, il soggetto e il tipo iconografico godono di ampia fortuna nel corso dell’età imperiale e sono attestati in molte varianti, tanto nella ponderazione del corpo quanto nella presenza degli attributi caratteristici dell’eroe. Interessante per l’analogia nello schema compositivo è il confronto con la statuetta bronzea di Basilea (Ercole stante con i pomi delle Esperidi) proveniente dall’Italia meridionale (100 a.C.), che si direbbe derivare proprio dallo stesso modello (T. Lochman, in Ercole e il suo mito, a cura di F.-W. von Hase, Milano 2018, p. 50). Per una variante del tipo si pensi, invece, all’Ercole Lenbach della Collezione Santarelli (S. Petrocchi, in Ercole e il suo mito, a cura di F.-W. von Hase, Milano 2018, p. 52), cronologicamente affine all’esemplare Borghese.
Clara di Fazio