La scultura rappresenta un infante con un grappolo d’uva serrato nella mano destra, adagiata lungo il fianco e una piccola coppa nella mano sinistra, innalzata. Gli arti superiori e gli attributi, opera del restauro, contribuiscono alla definizione del soggetto quale Dioniso infante, forse originariamente non pertinente alla scultura Borghese, di cui sono antichi solo il torso – frammentato – parte delle gambe e il plinto. Il tema di Dioniso-Bacco fanciullo godette di particolare fortuna in epoca ellenistica, per poi essere ampiamente adottato in tutto il mondo romano con intento decorativo; per l’esemplare Borghese non si può escludere però una originaria funzione di statua ritratto a destinazione funeraria, cui forse era pertinente l’attributo del grappolo d’uva: il tema iconografico del defunto con grappolo d’uva vide infatti una notevole diffusione in associazione a fanciulli/adolescenti precocemente scomparsi in tutto il bacino mediterraneo a partire dall’età ellenistica.
La scultura può forse coincidere con una delle tre di simile iconografia ricordate nel Settecento nella Villa Pinciana, due delle quali vennero poi acquisite da Napoleone Bonaparte e si trovano oggi al Louvre; tuttavia non si può escludere che essa coincida piuttosto con il Bacco di piccole dimensioni citato nell’inventario delle sculture conservate presso la Villa di famiglia a Mondragone.
La scultura può forse coincidere con una delle tre di simile iconografia ricordate nel Seicento e nel Settecento dal Manilli e dal Montelatici nella Villa di Porta Pinciana, in particolare con quella ricordata al piano superiore, nella sala XIV, mentre le altre due, esposte nel Portico, vennero poi acquisite da Napoleone Bonaparte e si trovano oggi al Louvre (inv. Ma 144; Ma 2248; Fabrèga-Dubert 2009, pp. 126-127, nn.250, 253). Tuttavia non si può escludere che essa coincida piuttosto con il “Bacco alto tre palmi e mezzo circa” citato nell’inventario delle sculture conservate presso la villa tuscolana di Mondragone del 1741, in parte recuperate da Evasio Gozzani per l’allestimento della nuova collezione presso il Casino di Porta Pinciana negli anni Venti del XIX sec. (Moreno, Sforzini 1987, p. 346).
La scultura rappresenta un infante, stante sulla destra, con la gamba sinistra leggermente flessa e scartata e conseguente inarcamento del fianco destro. Al braccio destro adagiato lungo il fianco, con un grappolo d’uva serrato nella mano, si contrappone il sinistro piegato e innalzato, con una piccola coppa. Gli arti superiori e gli attributi contribuiscono alla definizione del soggetto quale Bacco infante, ispirandosi a un tipo di Dioniso eseguito probabilmente nella cerchia prassitelica nel IV sec a.C. e noto da repliche romane in molte varianti, soprattutto d’età giovanile; tuttavia tale identità era forse originariamente estranea alla scultura Borghese, di cui sono antichi solo il torso – frammentato – parte delle gambe e il plinto.
Il tema di Bacco fanciullo, come quelli di Eracle e Hermes infanti, godette di particolare fortuna in epoca ellenistica, in particolare nell’ambito della corrente di gusto rococò (Klein 1921, p. 133 ss), per poi essere ampiamente adottato in tutto il mondo romano con intento decorativo. A tal riguardo, si riscontrano particolari analogie con le statuette di Dioniso infante nella collezione Doria-Pamphilj (Pensabene 1977, n. 96; Palma 1977, n. 97).
L’esemplare Borghese poteva originariamente essere una statua iconica a destinazione funeraria, cui forse non era estraneo l’attributo del grappolo d’uva: il tema iconografico del defunto con grappolo d’uva vide infatti una notevole diffusione in associazione a fanciulli/adolescenti precocemente scomparsi, soprattutto su stele, a partire dal II sec. a.C., dapprima in ambito delio e progressivamente in tutto il bacino mediterraneo. È soprattutto in età imperiale, però, che si concentrano le evidenze, anche su sarcofagi; nel tempo l’attributo vegetale perde la sua connotazione di emblema esclusivo della fanciullezza, documentato anche per defunti adulti. Il grappolo d’uva, lungi dal rappresentare un mero motivo ornamentale, acquisisce spesso un significato pregnante come richiamo al culto dionisiaco (Bonzano, Sironi 2005, pp. 174-176). Il culto di Bacco, nato dalla fusione della componente greca dionisiaca (propriamente escatologica) con quella italica del dio Libero, aveva infatti una forte connotazione funeraria: Bacco era venerato come protettore dei defunti e garante della felicità nella vita oltremondana, poiché egli stesso era morto e rinato, riportando poi dagli inferi la madre Semele. Proprio per tale ragione, nell’ambito del pantheon greco-romano Dioniso-Bacco è la divinità più rappresentata nell’arte funeraria romana, spesso con tratti iconici, come testimoniano le fonti: Apuleio, per esempio, ricorda la matrona che fa effigiare il defunto marito come il dio Libero (Metam. VIII 7,7). Interessante è anche il caso di Saturnino, per il quale i genitori predisposero nel II secolo un sarcofago con iscrizione che ne ricorda la rappresentazione in veste di Dioniso: nella statua, pervenuta, il fanciullo regge un grappolo d’uva nella destra e una coppa nella sinistra, esattamente come nel nostro esemplare (Jaccottet 2003, p. 301).
Nella statua Borghese l’uso del plinto incassato, unitamente alla lavorazione del torso suggeriscono una datazione al I sec. d.C.
Jessica Clementi